La mamma mi sorride ed io, avvolto da un tiepido fuoco azzurro che da lei proviene, già so cosa sta per dire.
«Forza Yoel, dolcezza, soffia sulle candeline ed esprimi un desiderio».
Mio padre, seduto accanto a lei dall'altra parte del tavolo, sforza un sorriso e sta pensando ad altro. Lo vedo, preoccupato, e i suoi slanci di euforica partecipazione alla mia festa sono contornati da assenze prolungate che s'infilano negli occhi della mamma appena possono.
«Su Yoel, soffia» cantilena la mamma.
Io sto seduto di fronte a loro, con le mie sei candeline davanti, troppo grande per quella torta senza che nessuno se ne voglia accorgere.I miei genitori rimangono disegnati nell'aria come figurine di un libro per bambini mentre tiro fuori del tabacco e giro una sigaretta. Mio padre e mia madre sono più piccoli di me, accoccolati su quelle due sedie, e non hanno orecchie ma dei buchi purulenti da cui spuntano incrostazioni di sangue.
Deve essere stata la bomba, concludo accendendo la sigaretta.
Io ho quasi trent'anni più di quel giorno in cui abbiamo festeggiato il mio sesto compleanno nel giardino fatato della nostra casa a Mumbai. Ora che la mamma si muove e continua a ripetere ossessivamente «Su Yoel, soffia» so che tra due giorni i miei genitori salteranno in aria assieme ad altre tre persone mentre sono al mercato, e vorrei essere io da qui ad ammazzarli, a soffiare via le loro vite esplose che in un momento avrebbero appesantito l'aria invaso la vita spezzato il tempo sepolto la pelle.