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#26 Habitare, Editoriale

Editoriale

Abitare un luogo, una città, un quartiere, una casa, una stanza.



In certi casi luogo rifugio da cui desideriamo ogni giorno partire e in cui desideriamo ogni giorno tornare per poterci ritrovare. La casa non acquisisce valore solamente come spazio fisico, ma come strumento e testimone attivo della vita dei suoi abitanti, delle sue relazioni, del suo campo di forze e di tensioni. Una sorta di geografia emozionale che ci riporta a uno stato embrionale ed intimo dell'esistenza, dove immaginazione ed esperienza trovano letteralmente dimora. Nello stesso tempo è una quinta teatrale per temi importanti: vita, amore, morte. Come nei magnifici film di Yasujirō Ozu dove le storie domestiche sulla struttura tradizionale della famiglia giapponese diventano l'occasione per raccontare i sintomi del suo progressivo disfacimento. Un inventario del quotidiano dove un mondo in apparenza solido si sgretola per lasciare spazio a un nuovo ancora incerto equilibrio, sorto dalle sue rovine.



In altri casi, la metropoli è una delle nostre peggiori ossessioni. Riletture distopiche di modelli illusori, dove la capacità di adattamento dell’uomo supera di gran lunga l’immaginazione di ogni visionario progettista. Megalopoli sovrappopolate, sottoposte a crescenti pressioni demografiche e migratorie, riflettono le contraddizioni della società contemporanea. Alveari modernisti, costituiti da centinaia di cellule abitative impilate e standardizzate, sono diventati il vessillo della contemporaneità, però spesso nascondono al loro interno una dimensione segreta e situazioni sature di marginalità sociali. I campi del lavoro e quelli del riposo si confondono e si mischiano fino a diventare indistinti. 



In altri ancora, scopi commerciali e terziari che devono dimostrare la capacità espressiva del lusso tecnologico e del potere finanziario si affiancano a una precaria forma di fragilità sociale. A questo punto tali verticali ecosistemi moderni appaiono come entità nuove, ibride e mutanti, espressione evoluta di un'architettura senza architetti.