Dov’era l’orda di negromanti che per decenni avevano opposto le loro nere liturgie ai tentativi di recupero del centro? Dov’era quell’etica del margine che schizofrenicamente aveva tenuto assieme proletariato giovanile e coatti, punk e militanti dei centri sociali, raver e turboproletari? Nella semicentrale Testaccio già sfiorata dai turisti a caccia di monumenti, il Cichitone si inventò una serata chiamata Phag Off che a cadenza più o meno mensile si teneva nei minuscoli locali del Metaverso. Era una festa quel frequentata da un pubblico trasversale che metteva assieme comunità frocia, reduci dei centri sociali e raver pentiti. Si respirava una bella aria, al Phag Off: la sessualità che per anni era stata tenuta a bada dall’abuso di ecstasy e altri intrugli chimici esplodeva in un’orgia godereccia di corpi che si spogliavano, sudavano e si strusciavano, all’insegna di una depravazione festante, gioiosa, allegramente disinibita. Tizi che facevano fist fucking in mezzo al pubblico danzante sotto gli occhi sbigottiti di qualche studentessa fuorisede, scopate nei bagni, pomiciate col primo che passa, strisce di MDMA in polvere sniffate clandestinamente dietro il bancone del bar. Almeno fino al 2005, fu probabilmente la festa più chiacchierata di tutta Roma. Era tutto così… liberatorio. Eppure era tutto così rassicurante. Chiuso in un club con tanto di licenza a due passi dal centro, veniva meno il brivido a cui la prassi del limite ti aveva abituato. L’esplosione erotica che raggiante deflagrava lì dentro acquisiva i contorni ambigui della performance.