Landscape Stories: Qual è il lavoro che rappresenta meglio la sua ricerca, nel quale si riconosce maggiormente?
Marco Signorini: Mi è difficile fare una scelta riguardo a un lavoro più significativo rispetto ad altri, tutti hanno la loro importanza anche perché facenti parte di un progetto che li accomuna. Anche “Echo”, che potrebbe sembrare il lavoro più rilevante perché sfociato in un progetto editoriale, in realtà è un titolo che raggruppa immagini realizzate in momenti e luoghi diversi nell’arco di dieci anni. Il libro “Echo” è un insieme di lavori, meglio forse definirli “episodi”, che tutti insieme rappresentano un punto di verifica di una parte delle immagini che avevo realizzato e al contempo un punto di partenza per il proseguimento della mia ricerca. Ad ogni modo c’è un lavoro che considero fondamentale nella mia produzione e si tratta di “Europos Centras” realizzato in Lituania nel 1994. Mi ha permesso di varcare la soglia fra il periodo di studio e il tentativo di intraprendere una strada personale. “Europos Centras” fu ampiamente pubblicato sulla rivista Creative Camera di Londra nel 1996 e allo stesso tempo criticato al festival di Arles da Jean Claude Lemagny che l’anno precedente mi aveva chiesto dieci immagini per la collezione della biblioteca nazionale di Parigi. Capii che avevo realizzato il mio primo lavoro nel quale identificarmi proprio perché riusciva a dividere, a diversificare i giudizi sulla sua validità.
Landscape Stories: Esiste qualche cosa di particolare che la ispira e la guida nel creare una specifica sensazione?
Marco Signorini: Per quanto possa cercare di organizzare un viaggio con l’idea di realizzare delle immagini a me congeniali, tutto poi si affida al caso. Naturalmente il caso è in qualche modo controllato, scelgo luoghi e momenti di ripresa ma le scene che mi si presentano davanti sono assolutamente originali e non prefigurate. Nonostante alcune mie immagini rimandino a una estetica di tipo pittorico, esse non sono costruite, non dispongo gli elementi sulla “tela”. La mia è ancora una fotografia della realtà, diciamo che fa riferimento alla realtà di primo grado, una definizione già usata in fotografia. Le persone che abitano le mie immagini non sono modelli, le luci sono quelle che trovo e mai ne ho aggiunte per modificarne qualità e quantità. Questa “fedeltà” operativa in fase di ripresa non determina assolutamente un valore in più al lavoro, è solo un atteggiamento che nasce dalla mia esperienza formativa. Una fedeltà che poi abbandono con altri espedienti, con l’uso di filtri e aggiustamenti in fase di post-produzione. È l’insieme di questi due momenti, apparentemente contraddittori del mio lavoro, che crea quella “specifica sensazione” intesa nella domanda.
Landscape Stories: Può raccontarci qualche cosa sull’importanza delle persone nelle sue fotografie?
Marco Signorini: Nelle mie fotografie le persone hanno importanza non come ritratti, come genere fotografico, ma come parte del tutto. Desidero soffermarmi indifferentemente su cose, luoghi ed esseri viventi. La mia attenzione sugli individui nasce anche dal fatto che tanta fotografia italiana di paesaggio sulla quale mi sono formato, privilegiava l’aspetto metafisico di luoghi marginali, di un paesaggio carico di segni stratificati, di architetture anonime e disabitate. Volevo inserire nel mio lavoro anche gli abitanti. I luoghi sono caratterizzati proprio perché frequentati da esseri viventi. Per tornare ad “Europos Centras”, esso è considerato il centro geografico d’Europa in base a delle coordinate geografiche, un non/luogo simbolico per eccellenza, che quando fotografai ho cercato di rappresentare proprio mediante i personaggi e particolari. Famiglie, bagnanti, cani, rimasugli di fuochi improvvisati, ciuffi d’erba, sentieri. Se ogni luogo è il centro del mondo, così anche ogni elemento del mondo è centro, è parte essenziale del tutto. Inoltre, nelle mie immagini più recenti, le persone non hanno funzione di “misura” nei confronti della natura che le sovrasta, che si perdono nel contemplare l’infinito, ma figure simboliche nelle quali riflettere il proprio io e porsi le domande di sempre: chi sono? che sarà di me? Perchè “guardare” diventa: “vedersi”.
Landscape Stories: Qual è il rapporto fra il pensiero che sottende il suo lavoro fotografico e Firenze, la città in cui vive?
Marco Signorini: La fortuna, e forse l’unica, di vivere ed essere nato a Firenze è il fatto di aver sempre potuto avere un confronto “alto” con il mondo dell’arte antica. Starci vicino mi ha insegnato a tentare di vedere oltre il visibile, a cercare profondità e valore nelle immagini e nel lavoro di ricerca. Una profondità che va oltre l’abilità degli autori di quelle opere eccezionali presenti nei musei fiorentini, abilità che comunque ti permette di misurare una qualità tecnica che trovo ancora oggi importante. Oggi, ciò che ha generato quell’idea di bellezza piena di carica simbolica nell’arte, non sembra quasi avere più senso, ma cerco ugualmente di capire il segreto di quelle immagini che mi suscitano oltre tempo emozioni e appagamento estetico.
(Video https://vimeo.com/14474236 )
Landscape Stories: L’uso della luce è molto importante. La luce aiuta nella creazione della storia?
Marco Signorini: La luce è il tramite nel quale il mondo si mostra. Ma ci sono riverberi e bagliori di luce nei quali il mondo sembra mostrarsi diversamente. Cogliere certi momenti può essere decisivo per la “densità” di un’immagine. Niente a che vedere con “l’attimo fuggente” alla Bresson, non si tratta di fissare elementi diversi che si accordano per la riuscita di uno scatto memorabile, bensì di una scena qualunque che può rivelarci inaspettati significati perché “illuminata”.
Landscape Stories: Qual è per lei l’importanza di un’esposizione fotografica o la pubblicazione di un libro e come pensa cambieranno queste pratiche con la diffusione delle pubblicazioni on-line?
Marco Signorini: Credo che un progetto artistico trovi la sua completezza attraverso le diverse applicazioni con le quali può manifestarsi e rendersi fruibile agli altri. Ma queste diverse declinazioni devono avere ognuna un senso specifico e una loro potenzialità comunicativa. La diffusione degli spazi on-line per la divulgazione delle immagini è un’altra di queste possibilità anche se, nella maggior parte dei casi, sono semplici gallerie da consultare senza un valore aggiunto dal linguaggio informatico. Ma la nascita continua su internet di riviste, blogs, portali d’ informazione sulla cultura fotografica non può che far bene, è un mondo meraviglioso nel quale perdersi se si ha interesse a scoprire nuovi autori e nuove idee. Direi che specialmente in Italia, dove l’editoria specializzata (e non solo) trova difficoltà a proporsi, internet ha assunto un ruolo indispensabile per l’informazione su realtà che altrimenti non avremmo modo di conoscere.
Questo non vuol dire che le pratiche informatiche sostituiranno mostre e supporti cartacei, ma che ognuna svolgerà il proprio ruolo. Si svilupperà sempre più un’editoria specializzata e da collezione e le esposizioni saranno ancora più curate negli allestimenti.
Landscape Stories: Potrebbe descriverci la sua esperienza come curatore del suo Photoblog e qual è l’influenza di questo medium nel suo lavoro come fotografo?
Marco Signorini: Il mio photoblog è nato un po’ per caso, un po’ per necessità. Da tempo stavo utilizzando internet per trovare informazioni su attività artistiche internazionali, autori, progetti editoriali, dibattiti e anche informazioni tecniche. Navigando ho trovato realtà molto interessanti, spesso nate dalla passione e dall’entusiasmo, ma con una cura e una qualità molto professionale. Tutto ciò mi ha fatto pensare che anche in questo, in Italia, siamo in ritardo. Non solo dal punto di vista culturale, ma anche dall’investimento personale e affettivo verso ciò che ci sta a cuore. Voglio dire che, in un paese in cui tutto sembra non funzionare, a volte bisogna assumere un atteggiamento di “resistenza”, affidarsi a qualcosa che forse non è l’ottimale ma supplisce in qualche modo a carenze strutturali. Quindi ho utilizzato il blog per presentare autori ai miei studenti e fornire semplici ma funzionali supporti didattici, ho “dilatato” le lezioni, viste le poche ore a disposizione per i corsi di fotografia in università e accademie. È stato piacevole constatare che la cosa interessava anche ad altri, molti hanno apprezzato la qualità della selezione delle immagini, che curo in modo particolare. Adesso il blog ha un pubblico costante che partecipa con commenti, richieste di consigli, proposte di collaborazione. Tutto ciò mi dà stimoli di riflessione anche per il mio personale lavoro fotografico. È in corso di preparazione un nuovo allestimento del blog che spero possa ampliare le proposte. Personalmente ritengo molto importante cercare di aumentare il livello culturale del contesto nel quale operiamo. In Italia dobbiamo lavorare molto, altrimenti che rilevanza possono avere addetti ai lavori quali artisti, critici, curatori e storici in un ambiente povero di contenuti?