Landscape Stories: Ci sono fotografi, opere o movimenti che l'hanno influenzata o ispirata?
Michael Wolf: Il più importante e unico riferimento nella mia carriera di fotografo non redazionale, è stato il fotografo Tedesco Michael Schmidt e la sua opera "Waffenruhe (Cessate il fuoco), 1987". Sono anche un grande ammiratore dell'opera di John Gossage, soprattutto dei suoi libri. Mi hanno infatti indicato una via di uscita dalla fotografia editoriale.**
Landscape Stories: Il suo libro 'Tokyo Compression' è stato selezionato da Martin Parr al PhotoIreland Festival come uno dei 30 libri di fotografia più influenti dell'ultima decade. Può raccontarci meglio la genesi del libro (cura dell'edizione, stampa, ecc.)? Ha intrapreso il progetto con l'idea di farne un libro?
Michael Wolf: Il mio primo scatto per il Tokyo Compression è stato nel 1995, quando lavoravo ad una storia sulle conseguenze dell'attacco con gas biologici di Sarin, da parte della setta di Aum Shinrikyo. Scattai 6 fotogrammi di volti di pendolari al mattino presto, davanti ai finestrini della metropolitana. Questi ritratti divennero immagini davvero potenti. Li archiviai in una cartella nominata "temi futuri". Nel 2008 decisi di rivisitare la stazione della metropolitana e ampliai la serie. Ho passato 20 giorni (da lunedì a venerdì) tutte le mattine dalle 7.30 alle 8.45 nella stessa stazione a fotografare ritratti di gente che andava al lavoro. Durante il giorno mangiavo sashimi e rivedevo gli scatti fatti al mattino. Tutto ciò che sapevo è che quelle immagini si adattavano perfettamente al mio progetto più generale chiamato "Vita nelle città". Pochi mesi dopo spedii il mio lavoro al mio editore Hannes Wanderer a Berlino, e lui immediatamente suggerì di pubblicarne un libro. Insieme lavorammo ad uno schema, lo spedivamo avanti e indietro tra Hong Kong e Berlino in formato pdf, e ad un certo punto giungemmo ad una bozza di cui eravamo soddisfatti. La decisione più importante fu di rifilare tutte le immagini cosicché diventasse un libro di ritratti e non di finestrini. Passai i file uno ad uno rifilando i volti ai finestrini, delle dimensioni di 8×10 pollici. Questa operazione diede coesione alla serie. Essa divenne una topologia di volti e una metafora della vita nelle megalopoli.
Landscape Stories: Nel progetto 'Tokyo Compression' le persone sono incorniciate dalle porte della metropolitana. Le sue immagini sono tutte scattate molto vicine ai soggetti, come per ridurre la distanza tra lei e loro. In che modo crede che la fotografia possa aiutare nell'osservazione dell'individuo? Quanta importanza attribuisce all'aspetto antropologico del suo lavoro?
Michael Wolf: Questa serie è stata possibile soltanto perchè l'architettura della stazione della metropolitana mi ha concesso di avvicinarmi così tanto ai finestrini dei treni. Potevo stare a circa 30cm di distanza. Questo avveniva dal lato dei treni da dove i pendolari non potevano scendere, quindi non potevano sfuggire al mio obiettivo, a parte alzando la mano coprendosi il volto o nascondendosi dietro i montanti delle porte o, in alcuni casi, chiudendo gli occhi: il ragionamento dietro a questo è che se loro non mi vedono, io non vedo loro. Questo aspetto di inevitabile vicinanza è cruciale per la serie, poiché volevo introdurre l'atto del fotografare nel tema. Volevo che l'osservatore pensasse non solo alla situazione dei pendolari, ma anche all'atto del fotografare in sè, a quanto invasivo potesse essere; per discutere gli aspetti morali ed etici della professione. È lecito fotografare qualcuno che non vuole essere fotografato? A volte mi sono sentito indeciso sul progetto, poichè molte persone verso cui puntavo l'obiettivo si sentivano ovviamente a disagio. Alla fine sono andato avanti, perché sentivo che non stavo umiliando l'individuo, ma stavo piuttosto commentando/criticando una condizione sociale. Alla fine gli scatti sono divenuti una metafora incredibilmente potente su un aspetto della società moderna e hanno scatenato una grossa riflessione sulle condizioni di vita nelle megalopoli.
Landscape Stories: In che modo il suo progetto si sviluppa nello svolgimento delle riprese? Come seleziona i luoghi e le persone da fotografare?
Michael Wolf: Tutti i miei progetti iniziano nella mia pancia: "la mia testa segue il mio fegato" [tradotto: "i miei pensieri seguono il mio istinto", N.d.T.]. Noto qualcosa che esercita in me una forte spinta emotiva e inizio a fotografare, spesso senza una chiara idea sulla direzione verso la quale il progetto andrà o addirittura se sia un reale progetto. Posso metterci mesi, qalche volta anni per capire il senso di quello che ho fatto. Il progetto "Sitting in China" per esempio, iniziò con una attrazione per l'estetica locale delle sedie rotte. Alla fine è divenuto una metafora della società cinese degli anni '90. Ho imparato a fidarmi del mio istinto. Se qualcosa mi affascina, devo seguirlo.
Landscape Stories: Qual è il modo migliore di guardare la sua opera?
Michael Wolf: Con una mente aperta.
Landscape Stories: Hong Kong è molto presente nel suo lavoro. Che cosa trova stimolante in questa città? Quali sensazioni percepisce da osservatore?
Michael Wolf: Hong Kong è la città che mi ha permesso di sviluppare la mia carriera di artista. Amo la sua diversità e la sua imprevedibilità. Il vecchio e il nuovo così vicini. Le sue radici nel Confucianesimo, che la rendono una delle città più sicure al mondo. La sua devozione al lavoro duro, la sua parsimoniosità. Ne sono eternamente grato. Ho il privilegio di essere un forestiero e dunque di osservarla più in profondità. Uno che è cresciuto a Hong Kong dà l'architettura locale per scontata. Quando l'ho scoperta, ne sono rimasto impressionato. Dopo 17 anni trascorsi a Hong Kong, tutte le volte che scendo in strada mi sento ancora esaltato. Riesco ancora a scoprire qualcosa di nuovo ogni giorno. Questa città soddisfa i miei desideri di artista visivo. Hong Kong è anche un luogo estremamente efficiente. Ad esempio: si possono concludere 30 cose in un giorno. A Parigi se ne conclude una in 30 giorni.
Landscape Stories: Quanto si sente coinvolto nell' "impaginazione" (costruzione, set , composizione,...) delle sue fotografie?
Michael Wolf: Naturalmente la composizione e l'estetica nel mio lavoro sono molto importanti. Sono parte di ciò che trasforma il contenuto in arte. Ci sono due aspetti rilevanti: primo, lo stile o la composizione delle mie fotografie; e secondo, l'estetica/forma di come presento il mio lavoro, sia che venga pubblicato sotto forma di stampa, sia che venga allestito in una galleria d'arte o in un museo. Il più difficile processo di apprendimento che ho dovuto attraversare nel passaggio da un lavoro editoriale ad un contesto artistico (è avvenuto nel 2003) è stato cancellare 30 anni di "lavaggio del cervello visivo" che si è verificato mentre ero foto giornalista per delle riviste. Avevo interiorizzato così tanto il modo in cui le riviste tedesche volevano che le immagini apparissero, che automaticamente inquadravo le foto come il direttore artistico si aspettava che facessi. Era impossibile per me inquadrare le foto in una maniera diversa. Un incubo! Da quando iniziai a lavorare per la rivista Stern, adottai lo stile Stern. Ragionavo sempre nel formato a doppia pagina della rivista; pensavo sempre a dove sarebbe stata inserita la didascalia sull'immagine stampata, e ad uno spazio adeguato per il titolo. Tenevo sempre a mente il solco della rilegatura che avrebbe diviso la foto in due e per questo avrei dovuto compensare. (Questa è una versione semplificata del processo e necessita di più approfondita spiegazione – per esempio, negli ultimi 10 anni il modo in cui le immagini appaiono nelle riviste è cambiato radicalmente e uno stile personale nello scatto è molto più richiesto e rispettato. Questo non avveniva nel business foto editoriale degli anni '80 e '90). Così, per essere accettato in un contesto artistico, dovevo allontanarmi da uno stile editoriale/commerciale. Un grosso aiuto mi è derivato dall'opera del fotografo tedesco Michael Schmidt, soprattutto il suo progetto "Waffenruhe". Questo lavoro trae origine dal modo in cui Robert Adams, Lewis Baltz, così come molti altri fotografi del movimento dei New Topographics [Nuovi Topografi, N.d.T.]"osservano", e non dalla fotografia editoriale. Ho studiato l'opera di Schmidt molto approfonditamente, successivamente ho acquistato una Makina Pauble 6x7cm per allontanarmi dall'estetica del piccolo formato 35mm e ho fatto pratica fotografando Hong Kong nello stile di Michael Schmidt. Il progetto "Hong Kong Back Door" ["La porta di servizio di Hong Kong", N.d.T.] è il risultato di quell'esercizio. Questo lavoro mi ha anche fatto perdere la mia assuefazione allo stile della doppia pagina della rivista Stern. Mi sono reso conto che esisteva una "altro sistema". Da quel momento in poi mi sono sentito molto più libero di poter sviluppare fuori dal giogo della fotografia editoriale.
In merito ai miei libri, è molto importante che io lavori con un editore che mi permetta il massimo livello di stimoli e controllo sull'impianto e sulla sequenza del libro. Questo è il motivo per cui è di solito una buona idea lavorare con un piccolo editore indipendente, poiché ha molta più libertà di azione ed è pronto a correre dei rischi. I grossi editori sono succubi del loro ufficio vendite che spesso stabilisce quale foto un libro (pubblicazione) dovrebbe avere in copertina. "Una foto di un vecchio in copertina non farà mai vendere. Invece la foto di una ragazza giovane e bella aiuta sempre le vendite". I compromessi che uno deve affrontare quando lavora con i grossi editori sono spesso troppo grandi e possono attenuare la sua visione.
La presentazione del mio lavoro e il modo di presentare una mostra sono anch'esse molto importanti. Se si studiano i miei progetti si noterà che non solo espongo fotografie su una parete, ma anche istallazioni che inglobano fotografie e oggetti che ho collezionato. Il mio primo progetto/mostra del genere è stato "Sitting in China" ["Sedersi in Cina", N.d.T.] (1996-2000). Da ogni viaggio fatto in Cina, ho sempre portato una o due piccole sedie. Dopo parecchi anni, ne avevo all'incirca 75 pezzi. Insieme ai ritratti di persone "Sitting in China", ho esposto anche quelle sedie infime che avevo riportato da ogni viaggio.
L'allestimento successivo è stato "The Real Toy Story" ("La vera storia del giocattolo", ndt) (2003), per il quale ho collezionato 20.000 giocattoli provenienti dai mercatini delle pulci negli Stati Uniti e fatti in Cina. A questi ho fissato dei magneti e li ho montati sulle pareti coperte di fogli di metallo. Inseriti in questo oceano di giocattoli c'erano ritratti di operai di fabbriche di giocattoli che ho fotografato in Cina. Quindi ho esposto gli oggetti e le immagini delle persone che realizzavano gli oggetti.
Un'altra istallazione è "100 x 100", una serie di fotografie di 100 stanze di un complesso residenziale a Hong Kong, costruito nel 1954 (ora demolito). Ogni stanza ha lo stesso impianto e tutte hanno le stesse dimensioni: 100 piedi quadrati (10 piedi x 10 piedi x 10 piedi x 10 piedi). Esporrò le 100 foto in uno spazio che avrò costruito apposta, che è esattamente grande quanto le stanze nelle fotografie. Il colpo di scena avverrà quando l'osservatore guarderà le foto e si renderà conto che la stanza in cui si trova è grande quanto quelle fotografate. La mostra avrà luogo alla Flowers Gallery a Londra dal 24 Novembre.
Quindi l'estetica e la presentazione sono davvero importanti.
Landscape Stories: A cosa sta lavorando in questo momento?
Michael Wolf: Attualmente sto sviluppando un altro progetto sullo stile locale di Hong Kong. In linea di massima la parte fotografica è conclusa. Ora sto seguendo l'editing e la prossima settimana vedrò l'editore. Il libro dovrebbe uscire a Maggio 2012.
Intervista a cura di Gianpaolo Arena
Traduzione a cura di Francesco Bergamo