Landscape Stories: Quanto è stato importante per la sua ricerca nutrire un immaginario culturale ed estetico altro attraverso la letteratura, l’arte e la musica? In che misura la realtà e la vita sono ancora la più straordinaria esperienza sensoriale?
Zoltán Jókay: Ero molto solo da bambino e durante la mia adolescenza. L’arte e la letteratura sono stati i miei principali accompagnamenti. Non posso legare la mia fotografia a nessuna opera d’arte o letteraria che ho amato o amo tuttora. I miei legami sono di tipo emozionale; essi sono radicati nella mia infanzia e ancora plasmano il mio lavoro.
Landscape Stories: Ci sono fotografi, movimenti artistici od opere che l’hanno influenzata o ispirata? Quanto il movimento della “New Objectivity” o la lezione trasmessa da August Sander (Menschen des 20. Jahrhunderts/People of the Twentieth Century) e Diane Arbus sono stati una fonte d’ispirazione per lei mentre iniziò a ricercare il suo stile fotografico?
Zoltán Jókay: Anche se ho ammirato il lavoro di August Sander e Diane Arbus, come quello di Winogrand, Friedlander e Goldin, questi fotografi sono stati dei maestri della fotografia e non ho mai creduto di poterli seguire in alcun modo. Il concetto di “New Objectivity” non ha mai neanche occupato i miei pensieri.
La mia evoluzione fotografica è stata costituita da una profondamente radicata, apertamente riflessa espressione di un “mi piace” e “non mi piace”. Ho studiato in Essen “Communication design”, e ho fortemente detestato la maggior parte di quello che è stato prodotto lì. Non mi era piaciuto nessun linguaggio fotografico che non avesse impresso il segno del proprio autore. Non potevo soffrire nessun aspetto falso senza un ulteriore significato più profondo. Ed ero molto deluso per la mia fotografia.
Un compagno di studi mi introdusse al lavoro di Paul Graham, William Eggleston, Peter Frazer, Michael Schmidt ed altri fotografi contemporanei. Questo era il panorama visivo che stavo cercando in modo inconsapevole.
C’era stato anche un episodio che mi colpì davvero tanto: un assistente universitario stava stampando le fotografie che suo padre aveva scattato. Suo padre fu un fotografo amatoriale e non potevo pensare che questo tipo stesse facendo meglio di ciascuno di noi mentre cercavamo di diventare professionisti.
Landscape Stories: Segue un metodo di lavoro per ciascuna serie fotografica, oppure questo varia per ciascun progetto differente? Ci spieghi le tematiche del suo lavoro artistico ed il suo processo esecutivo.
Zoltán Jókay: Il mio lavoro è stato per un lungo periodo principalmente la lotta per sconfiggere la mia timidezza. Per settimane e mesi stavo camminando lungo le strade non osando approcciare la gente che volevo fotografare. Solo quando l’impatto emozionale di ciò che vedevo era grande abbastanza feci un passo in avanti.
Mentre stavo lavorando al mio diploma mi sono imbattuto in “Camera Lucida” di Roland Barthes. Ho percepito che il “punctum” di cui lui stava parlando era lo stesso che mi aveva colpito mentre stavo cercando delle immagini, spingendomi a stabilire un contatto e a fotografare. In questi rari momenti reagii in modo istintivo ad un’emozione che mi ha connesso con il mio passato. Non appena capii quello che mi stava accadendo, realizzai che dovevo accordarmi con i miei ricordi del passato.
Con “remembering” sto attualmente avvicinandomi alla mia infanzia, e il mio linguaggio visivo diventa somigliante al passato, l’abbigliamento e i colori, e i miei protagonisti, ogni cosa sembrò come arrivare da un tempo passato.
Tutti I miei progetti riflettono i miei tentativi di governare i controlli della vita, cercando di capire l’esistenza della natura umana e di me stesso.
Dopo aver pubblicato la mia monografia ho voluto perdere la mia identità fotografica. Non ho proprio potuto immaginare di andare avanti così fino alla fine della mia vita. Iniziai con un’intera serie di progetti durante gli anni successivi, ciascuno di questi fallì per far fronte alle mie aspettative.
Nel frattempo, per una vita, iniziai a lavorare con le persone, prima come un lavoratore sociale inesperto in una dimessa rendita di quartiere e successivamente il mio lavoro fu colpito duramente come superfluo, ho ottenuto un impiego in una casa di riposo per anziani, prendendomi cura di coloro i quali soffrivano di demenza senile.
Iniziai a fotografare quelli che conoscevo nel quartiere; dopo iniziai a fotografare anche gli anziani di cui mi occupavo nell’ospizio.
Landscape Stories: Quanto lei è profondamente influenzato dall’ambiente e dai luoghi in cui è cresciuto? In che misura il suo immaginario legato all’infanzia è ancora presente nelle sue fotografie?
Zoltán Jókay: Ho già accennato che le mie esperienze dell’infanzia hanno determinato il mio modo di relazionarmi con il mondo, esso ha formato la mia abitudine di vita e tutto questo si è riflesso sulla mia fotografia.
“Remembering” era influenzato dal punto di vista visivo dai colori e dagli ambienti che ho imparato ad amare durante le vacanze estive che ho trascorso con i miei nonni in Ungheria.
Landscape Stories: Osservando il suo ultimo progetto, ancora in corso: ‘Mrs Raab wants to go home’… emerge una sensazione di comprensione, uno spazio intimo per la memoria, l’esperienza, la contemplazione, la meditazione, I pensieri… Questa interpretazione si avvicina alle sue intenzioni verso questo progetto? Potrebbe spiegarci qualcosa riguardo a questo argomento?
Zoltán Jókay: Non penso mai il mio lavoro in questi termini.
Nel quartiere mi ero confrontato con l’incapacità, la povertà, il dolore, la tristezza e un’estrema solitudine. Qui ho imparato che parti dei miei traumi infantili, in sostanza, li condividevo con moltissime persone. Questo ha aiutato.
Muovendomi in una casa di riposo per anziani perdi perfino le ultime rimanenze della vita che hai vissuto. La tua autarchia se ne è andata; tu stai dipendendo dall’aiuto delle persone che sono organizzate dai cambi. Non ci sono rimaste alternative. Questa è la fine del confine.
Il lavoro di pareggiamento dei conti e quello nell’ospizio per anziani sono entrambi delle parti importanti della mia vita. Quello che ho vissuto lì e che sto vivendo tuttora quasi giornalmente mi ha segnato profondamente.
Landscape Stories: Ha iniziato questo progetto con l’idea di farne un libro? Potrebbe raccontarci meglio la genesi di un libro?
Zoltán Jókay: Non iniziai questo progetto con l’idea di un libro. Non so mai in anticipo se produrrò qualcosa meritevole di essere pubblicato.
Iniziai ad abbinare le mie immagini con le parole mentre stavo preparando un portfolio per una competizione. Desiderai mostrare il mio lavoro senza doverlo spiegare. Mentre cercavo le parole realizzai che potevo aggiungere un altro livello significativo alle mie immagini con un testo scritto sull’esterno.
Successivamente, per una mostra, ho trasferito il mio portfolio sul muro. Sono stato costretto a cercare un nuovo modo di presentare i miei testi accanto alle fotografie. Volevo che le immagini e le parole fossero lette proprio nel loro particolare, ma anche relazionandosi tra di loro. Al momento esse sono incorniciate separatamente, e le parole sono stampate fuori su basi colorate che si associano ai colori delle fotografie a cui appartengono.
“Mrs Raab wants to go home” si sviluppò passo dopo passo. Al principio non c’era un disegno di massima. Così se lei mi chiede qualcosa riguardo al mio metodo di lavoro, non esiste altro che prove ed errori, esercitandomi ed imparando. Questo avviene ascoltando una voce interiore, ed è un tentativo di capire quello che sta accadendo e in quale direzione andare.
Landscape Stories: Qual è il modo ideale per vedere il suo lavoro (libro, esposizione…)?
Zoltán Jókay:Una mostra è come un concerto dal vivo. Visitare un’esposizione, osservare le stampe originali, passare da un’immagine all’altra, e condividere questa esperienza con altre persone può avere un impatto più forte che guardare un libro. Nello stesso tempo amo I libri. Posso toccarli, aprirli, posso portarli a casa, e posso guardarli ripetutamente. Ho il tempo di analizzare quello che vedo. Un libro è qui per rimanerci.
Landscape Stories: Cosa ha in programma per il 2012, fotograficamente o di altro tipo?
Zoltán Jókay: Non lo so.
Desidererei incominciare a lavorare a un nuovo progetto, ma non sono completamente in linea su questo. Sono vanificato dalle mie stesse limitazioni. Voglio dire di più di quello che sono capace di esprimere.
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Intervista a cura di Gianpaolo Arena
Traduzione a cura di Francesco Bergamo