/26 Habitare

La casa vissuta non è una scatola inerte: lo spazio abitato trascende lo  spazio geometrico. [...]

Ogni angolo di una casa, ogni cantone in una camera, ogni spazio ridotto in cui piace andare a rannicchiarsi, a raccogliersi su se stessi, è per l'immaginazione una solitudine, vale a dire il germe di una camera, il germe di una casa. [...]

La casa è infatti il nostro angolo di mondo, è, come è stato spesso ripetuto, il nostro primo universo. Essa è davvero un cosmo, nella piena accezione del termine. Non è forse bella la casa più modesta, se la guardiamo dal punto di vista dell'intimità? Gli scrittori della «umile casa» evocano spesso questo elemento della poetica dello spazio. La loro evocazione, tuttavia, è troppo scarna, dal momento che, avendo poco da descri- vere nell'umile casa, essi non vi si soffermano affatto. Si limitano a caratterizzarla nella sua attualità, senza viverne davvero la primitività, una primitività che appartiene a tutti, ricchi o poveri, a patto che accettino di sognare. La nostra vita adulta è a tal punto spossessata dei primi beni, i legami antropocosmici vi si sono talmente allentati da non avvertire il loro primo radicarsi nell'universo della casa. [...]

La casa dell'avvenire, talvolta, è più solida, più chiara, più vasta di tutte le case del passato. All'opposto della casa natale, si muove l’immagine della casa sognata. Tardi nella vita, con coraggio invincibile, si dice ancora: ciò che non si e fatto, si farà. Si costruirà la casa. La casa sognata può essere un semplice sogno di proprietario, un concentrato di tutto quanto è giudicato comodo, confortevole, sano, solido, cioè desiderabile da parte degli altri. Essa deve allora soddisfare l'orgoglio e la ragione, termini inconciliabili. La realizzazione di un tale sogno non rientra nel campo della nostra ricerca, ma piuttosto nel settore della psicologia dei progetti. [...]

Dobbiamo aggiungere che tutti gli spazi delle nostre passate solitudini, gli spazi in cui abbiamo sofferto la solitudine, goduto della solitudine, desiderato la solitudine, sono incancellabili in noi, precisamente perché l'essere non vuole affatto cancellarli, sa istintivamente che gli spazi della sua solitudine sono costitutivi. Anche quando tali spazi sono per sempre aboliti dal presente, resi estranei ormai a ogni promessa d'avvenire, anche quando non c'è più soffitta e si è perduta la mansarda, rimarrà sempre il fatto che si è amata una soffitta e si è vissuto in una mansarda. Vi ritorniamo nei sogni notturni: tali luoghi hanno valore di guscio. Quando ci addentriamo in fondo ai labirinti del sonno, quando ci avviciniamo alle regioni del sonno profondo, incontriamo forse riposi pre-umani. Il pre-umano raggiunge qui r immemoriale, ma nella stessa rêverie del giomo, i ricordi delle solitudini anguste, semplici, ristrette sono per noi esperienze dello spazio corroborante, di uno spazio che non desidera esten- dersi, ma vorrebbe soprattutto essere ancora posseduto. Un tempo, potevamo forse trovare la mansarda troppo stretta, fredda d'inverno o calda d'estate, ora, tuttavia, nel ricordo ritrovato dalla rêverie, non sappiamo per mezzo di quale sincretismo, la mansarda è piccola e grande, calda e fresca, sempre confortante. [...]