Landscape Stories: Quali sono le sue influenze, fotografiche o di altro tipo?
Rob Hornstra: Cerco sempre di trovare le risposte a due domande: la prima è 'Perché voglio raccontare delle storie?' E la seconda è 'Perchè racconto queste storie nel modo in cui lo faccio?'. La prima domanda non ha tanto a che fare con l'essere influenzato, ma è più la motivazione (o la spinta) dietro il proprio lavoro. La seconda domanda riguarda il modo di lavorare o lo stile con cui si sceglie di lavorare. Parlando di questo, posso essere influenzato da qualsiasi cosa. Può essere il lavoro di un artista o di un documentarista. Può anche essere un articolo di giornale o di una persona che ho incontrato al supermercato. So che il mio stile (il modo in cui io lavoro) è sempre in movimento, anche se non cambia a grandi passi. Per farvi un esempio molto semplice: se guardate al mio libro di laurea Communism & Cowgirls (www.issuu.com/borotov) vedrete che ho fatto solo foto verticali (tranne una). Era che non sapevo come gestire il formato orizzontale. Senza forzare nulla, le cose sono cambiate. Il prossimo libro Sochi Singers è composto da sole immagini orizzontali (tranne una). Penso che il mio vocabolario visivo si espanda lentamente. Smetterò sicuramente di lavorare come fotografo il giorno in cui mi renderò conto che il mio modo di lavorare non cambia più. Nel momento in cui si diventa soddisfatti è il momento in cui bisogna fermarsi.
Landscape Stories: Lei iniziò a studiare servizi sociali e legali presso l'Università di Utrecht. Cosa l'ha convinta a scegliere la fotografia?
Rob Hornstra: Forse un dettaglio interessante; dopo il liceo i miei genitori non volevano che studiassi fotografia presso l'Accademia d'Arte. Tuttavia feci segretamente domanda all'Accademia d'Arte, ma fui respinto. Così iniziai a studiare servizi sociali e legali e feci il mio tirocinio (e lavorai per un breve periodo) come addetto alla sorveglianza di Utrecht. Tuttavia avevo ancora voglia di studiare fotografia. Dopo la laurea presso l'Accademia sociale, feci ancora domanda all'Accademia e questa volta fui preso. Credo che la mia fotografia possa più essere vista come una combinazione di queste due aree di studio. Anche nella fotografia mi preoccupo del mondo intorno a me e mi affascinano sia il comportamento di altre persone e le ragioni dietro alle loro azioni. Guardando al passato, non considero questi due studi come campi di studio completamente diversi. Entrambi gli studi mi hanno aiutato molto in quello che sto facendo oggi.
Landscape Stories: Perché si occupa di fotografia?
Rob Hornstra: Ho un grande bisogno di raccontare storie sociali. Con la mia fotografia cerco di sollevare domande sulla società in cui viviamo. E' una sfida per me, dare modo alle persone di mettere in discussione le proprie idee e pregiudizi.
Landscape Stories: Quanta importanza attribuisce agli aspetti sociali, economici, o politici di ciò che lei mostra?
Rob Hornstra: Insieme allo scrittore Arnold van Bruggen, ho veramente a cuore un modo di lavorare indipendente. Indaghiamo molto e parliamo con tutti i tipi di persone e questa ricerca finisce nelle storie che produciamo. Il nostro scopo non è quello di essere il più obiettivi possibile. Siamo del tutto consapevoli del fatto che queste sono le nostre idee, la nostra visione di grandi tematiche. Ma le storie sono prodotte in modo indipendente. Non abbiamo una sola ragione per scrivere in maniera positiva o negativa di gruppi, etnie o paesi. Se le nostre storie finiscono in una mostra e la gente legge una sorta di dichiarazione politica, economica o sociale in essa: perfetto.
Landscape Stories: Per quanto riguarda il progetto 101 Billionaires, lei partì per un viaggio in tutta la Russia per un periodo di tempo prolungato. Fece una ricerca particolare sul territorio mentre lavorava su questo progetto? Come scelse i luoghi che poi ritrasse in queste immagini e come si avvicina alla gente per i suoi ritratti?
Rob Hornstra: Dopo quattro viaggi nel 2007 iniziai a capire il tipo di progetto su cui stavo lavorando. Era l'inizio del 2008 e lessi un articolo sul Finance Magazine russo il quale diceva che vi erano 101 miliardari che vivevano in Russia. Notai molta abbienza per le strade di Mosca, ma non osservai questa ricchezza viaggiando in altre città. Era chiaro che la Russia era un paese molto ricco, ma solo poche persone traevano profitto da questa ricchezza. Oltre a Mosca e San Pietroburgo, tutte le città erano più o meno le stesse: Quasi tutte le persone erano povere, nessuna prosperità, senza lavoro e senza futuro. Quindi in realtà non importava quale città avrei visitato. Avrei potuto usare una freccia e gettarla su una mappa della Russia e andare là. Le immagini in 101 Billionaires sarebbero potute essere fatte in qualsiasi città.
Landscape Stories: Ha un metodo di lavoro che ricorre in ogni serie, o cambia per ogni progetto diverso?
Rob Hornstra: Ci sono delle somiglianze, naturalmente, ma credo che ogni storia abbia bisogno di un proprio approccio. Noi (in questo momento sto lavorando insieme allo scrittore Arnold van Bruggen) facciamo parecchi approfondimenti prima di andare in una data zona o lavorare su un determinato argomento. Anche se si indaga molto, non pianifichiamo o programmiamo tutto in anticipo. Un aspetto molto importante nel nostro modo di lavorare è la coincidenza. Vogliamo sempre incontrare nuove persone e cercare di essere aperti a idee fresche o intuizioni. Ad esempio cerchiamo di evitare di lavorare troppo spesso con lo stesso assistente o sempre con lo stesso metodo di trasporto o autista. Questo rende il viaggio più difficile, ma (a nostro avviso) offre una visione più chiara di ciò che stiamo facendo. Comunque alla base di ogni viaggio c'è un'indagine sostanziale nella storia, politica e questioni sociali. E' fondamentale sapere che cosa è successo in passato, ciò che sta succedendo e, naturalmente, anticipare il futuro.
Landscape Stories: Il progetto Sochi fu avviato tre anni fa (2009) da lei e lo scrittore e regista Arnold van Bruggen per descrivere e documentare la regione dell'Abkhazia, sul Mar Nero, stretta tra la Russia e la Georgia. In riferimento al libro Empty Land, Promised Land, Forbidden Land... Potrebbe raccontarci qualcosa in più sulla creazione del libro (concetto, editing, disegno, stampa, edizione limitata, ecc)?
Rob Hornstra: Iniziammo il progetto Sochi nel 2009. Il libro Empty Land, Promised Land, Forbidden Land è la nostra seconda pubblicazione annuale e la si può considerare come un capitolo all'interno del Progetto Sochi. Entro cinque anni dal progetto Sochi cercheremo di realizzare diversi capitoli (magari una decina, non necessariamente tutte pubblicazioni). Tutti questi capitoli insieme formeranno un atlante in parole e immagini della regione più grande vicino a Sochi, dove avranno luogo nel 2014 i Giochi Olimpici Invernali.
Empty Land, Promised Land, Forbidden Land non è un libro fotografico. Si tratta di un documentario in forma di libro, in cui vengono raccontate delle storie attraverso il testo e la fotografia. A volte il testo racconta la sua storia, a volte lo fa la fotografia e qualche volta lo fanno insieme. Il formato del libro è stato orientato in questa direzione; volevamo il più grande formato possibile che sarebbe stato comunque comodo da maneggiare.
In origine, le foto orizzontali-per lo più paesaggi ed interni-potrebbero estendersi su due pagine, mentre le foto ritratto-soprattutto di persone-non potevano che stare su una pagina (di 20 x 25 cm). Ciò sembrava contraddire la storia che volevamo raccontare, che era appunto sulle persone. Erano i ritratti che avrebbero dovuto ottenere il massimo dell'attenzione. Di conseguenza, abbiamo optato per ruotare i capitoli delle foto, dando così più spazio alla gente.
Durante i nostri viaggi abbiamo lottato con strati su strati di un conflitto sempre più inconciliabile. In questo libro, portiamo con noi i lettori sul nostro cammino, in modo che essi debbano passare attraverso la stessa difficoltà per comprendere la complessità della situazione. Per rafforzare questo sentimento, il libro è pieno di riferimenti ad altre pagine.
Landscape Stories: Cosa pensa del self-publishing?
Rob Hornstra: Posso solo dirvi perché io pubblico i miei libri per conto mio. Prima di tutto potrebbe essere utile sapere che non sono un attivista del self-publishing. Non ho nulla contro gli editori tradizionali.
Considero i libri come il migliore risultato del mio lavoro. Meglio di mostre, pubblicazioni in riviste, presentazioni, singole stampe incorniciate o quant'altro. Quindi, se si vuole parlare del mio lavoro, allora si parla dei miei libri e non delle mie foto. Considero il fare libri come il lavoro che svolgo. Fare una foto è solo una parte d'esso.
Da questo punto di vista lo vedo come una continuazione logica del fatto che si vuole mantenere il controllo sull'intero processo di fabbricazione del libro e che si tenta di evitare eventuali concessioni in questo processo. Come sapete, non ho mai lavorato con un editore, ma mi è difficile credere che un qualsiasi editore al mondo avrebbe mai accettato la copertina poco informativa di Empty Land, Promised Land, Forbidden Land. Se si vede il libro in una libreria, non si sà quello di cui il libro parla o chi lo ha fatto. Infatti il libro si sta vendendo veramente male nelle librerie tradizionali. Un editore deve preoccuparsi di queste genere di cose. Io ho solo a cuore il fatto che il libro sia il risultato perfetto del mio lavoro e che la nostra idea di copertina si adatti perfettamente al concetto del libro (vedi anche la domanda precedente).
Landscape Stories: Vede un potenziale in Internet, come un altro spazio per la cura del lavoro? Che cosa significa per lei una mostra fotografica o la pubblicazione di un libro, e come secondo lei queste presentazioni e forme di comunicazione cambieranno, con la diffusione di pubblicazioni online?
Rob Hornstra: Domanda difficile. Prima di tutto, penso che l'importanza di Internet è oggi prevalentemente nella promozione, diffusione e archiviazione dei lavori. Ma credo che i progetti basati sul web sicuramente aggiungano una dimensione interessante alle forme tradizionali già esistenti, come libri e mostre. Io non le vedo separatamente. Un sito web o una App. possono contribuire ad una mostra o un libro e viceversa. Non vedo alcun contrasto tra queste forme. I narratori devono decidere da soli ciò che essi considerano la loro forma d'espressione migliore. Per me fare un libro è stata (ed è ancora) la forma definitiva per il mio lavoro fino ad ora. Ma ci sono molte cose da dire sul fare un eBook o una iPad App. invece di un libro di carta.
www.borotov.com
www.thesochiproject.org
Intervista a cura di Gianpaolo Arena
Traduzione a cura di Marco Di Gennaro