Landscape Stories: Quale poeta o artista ha maggiormente influenzato i suoi esordi? Dove si possono rintracciare le radici del suo lavoro?
Mona Kuhn: Sono sensibile a tutto: cinema, fotografia, cartelloni, libri, dipinti, graffiti. Assorbo tutto quello che i miei occhi vedono. Per quanto riguarda la fotografia, nei primi tempi ha esercitato una forte influenza Mario Cravo Neto, un fotografo brasiliano che lavora principalmente con figure scure e nudi. Il suo lavoro è sensazionale ed ha sicuramente avuto un effetto sul mio. Poi, quando mi sono trasferita negli Stati Uniti, sono stata meravigliata dal lavoro dei gemelli Starn. Ha avuto poca influenza diretta sul mio lavoro, ma ha aperto la mia mente nel farmi vedere come la fotografia potesse esser presa per una seria forma di espressione. Adoro anche l’opera di tutta una vita di Nan Goldin, Leon Levinstein e la fotografia nei film di Julian Schnabel. Ogni serie rappresenta qualcosa di nuovo su cui lavorare, un nuovo capitolo di curiosità. In “Bordeaux Series un influsso che vi riconosco, seppur non così diretta, è costituito dai ritratti in bianco e nero che Michael Disfarmer realizzò nell’America rurale degli anni ’30. Mi piace l’idea di una serie non pretenziosa di immagini dei miei dintorni e della comunità di amici intimi e delle loro relazioni: tutti insieme in una stanza, con una sedia, i colori ridotti al bianco e nero e rosso.
Landscape Stories: Quando e perché ha iniziato a scattare foto? Cos’ha fatto sì che seguisse questo medium e che la chiamasse a diventare “fotografa”?
Mona Kuhn: Sono sempre stata interessata al corpo come una capsula di noi stessi, come risposta inerente il chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Ho iniziato disegnando figure con il carbone al liceo; quando ho preso la mia prima lezione di fotografia, ho capito subito che era il mezzo per me: mi piace la sua velocità. Ciò nonostante è incredibilmente difficile rendere la figura in un mezzo così immediato: cerco di portare il linguaggio dell’arte figurativa pittorica nel campo della fotografia. La cosa più importante per me è il rapporto che costruisco con le persone che fotografo: la fotografia è un piccolo frammento derivante dal conoscere in modo approfondito la gente.
Landscape Stories: Tutte le persone nelle sue immagini si comportano in modo molto naturale. Come si raggiunge questo obiettivo? Come è arrivata a questo punto nella sua pratica artistica? Ha idee precise su come fotografare i soggetti o lascia che la guidino?
Mona Kuhn: È un privilegio per me essere in grado di fotografare, realizzando nudi, i miei amici più stretti e la mia famiglia allargata. Io fotografo il nudo come l’essenza naturale di chi siamo. Anche se siamo esseri sessuali, io non sono interessata alla fotografia erotica. Ho molto rispetto di chi posa per me, cerco di sviluppare un vocabolario visivo unico, differente da qualcosa che sia “basico”. Di quello ce n’è già abbastanza. Per me, c’è una differenza enorme tra denudato e nudo. Qualcuno si sente denudato quando colto di sorpresa e/o in una situazione di vulnerabilità. Il nudo per me è sempre vestito, vestito di continui riferimenti alla storia dell’arte, in un modo in cui non può sfuggirvi. Il nudo che mi interessa ha una sua forza e fiducia interiore che fa sì che non ci si senta denudati. Lo si può vedere nel mio lavoro, nelle posizioni naturali e negli occhi fiduciosi delle persone che fotografo. Il mio processo creativo inizia immaginando i colori. Non saprei spiegare il perché ma la colorazione è qualcosa che mi si presenta fin da subito. A quella lego l’emozione, il posto e le persone vengono in seguito. Prima di trovare le giuste persone da fotografare possono passare anche sei mesi di lavoro. Questa fase preliminare mi dà il tempo di immergermi, per sentire veramente e tirare fuori quello che sto cercando di dire, quello che sto cercando di esprimere. A quel punto inizio a fotografare, so già quello che voglio, il vocabolario visivo è maturato, così fotografare la gente riesce naturale e in linea con l’emozione generale che sto cercando di trasmettere. Iniziando "Bordeaux Series", sapevo fin dall’inizio, che avrei utilizzato un approccio ridotto: semplici ritratti tradizionali fatti in una camera singola, insieme a paesaggi della regione. Avendo immaginato subito i colori, ero sicura che la palette doveva essere essenziale ma classica: nero, bianco e rosso. I paesaggi e le immagini dei sentieri in bianco e nero sono stati realizzati per lo più durante delle tempeste, muovendosi attraverso di essi, a volte direttamente dall’auto. I ritratti coprono un ciclo di vita: ho fotografato dai giovani agli anziani. Come per i paesaggi, è presente una metafora simile: un’idea di passaggio, da qui a lì, non troppo definito. Come un passaggio di tempo, un passaggio ad un’altra vita. Un labirinto: la sensazione, di non sapere dove tale percorso potrebbe in ultima analisi, portare. Io per lo più fotografo durante le ore magiche al sorgere del sole e le ultime due ore prima del tramonto. Non è solo l’illuminazione, penso che ci sentiamo diversi in quei momenti, come se le emozioni potessero stare ferme per alcuni minuti. È bello catturare quella sensazione. Vedo il corpo come il contenitore delle nostre emozioni, della nostra anima, del nostro io interiore. Nel fiorire e nel decadere. Realizzando le foto per questa serie due dipinti erano in risonanza dentro me. “Le Tre Età della Donna” di Klimt, del 1905, è il primo. Klimt partecipò alla Secessione di Vienna, un periodo della storia dell’arte che mi interessa molto. L’altro, ancor persistente vista l’influenza che mi ha portato più direttamente nella serie “Native”, è Gauguin, con “Da Dove Veniamo, Che Siamo, Dove Andiamo”, del 1897. Credo riassuma una domanda che tutti ci poniamo e che ho deciso di porre alla base della mia ispirazione. Io fotografo l’umano in noi, senza vergogna, senza rimpianti, libero e senza tempo.
Landscape Stories: In che modo i lavori precedenti sono legati ai più recenti?
Mona Kuhn:Ogni serie è per me una nuova avventura. Raggiungendo un diverso livello di intuizione, lascio che la curiosità mi guidi: è difficile e affascinante al tempo stesso. Io non sono un artista concettuale, il mio processo creativo è piuttosto intuitivo. È come se il mio ruolo di artista fosse quello di filtrare qualcosa di cui non conosciamo le parole per dirlo. Così ogni serie è una lezione, un blocco da costruzione, un passo avanti in questo cammino.
Landscape Stories: Da dove nasce l’idea per “Bordeux”? Oltre ai nudi ci presenta il paesaggio, la natura e altre scene. Che rapporto intercorre tra questi ultimi e i ritratti?
Mona Kuhn: Sono paesaggi della stessa regione dei ritratti, li ho realizzati per informare un po’ sulla zona. Quando c’era della bella luce, fotografavo i miei amici; quando pioveva, c’erano solo un sacco di temporali estivi, uscivo e fotografavo i temporali. Ci sono un paio di immagini drammatiche di temporali con grandi nuvole e contrasto elevato, e ci sono altresì delle immagini di percorsi che creano l’idea di dove questa stanza sia con tutte le persone riunite. In modo da avere un po’ di effetto labirinto: paesaggi che portano da qualche parte, ma non si sa dove. È iniziato con un gruppo di amici in Francia che vanno a cercare il tartufo. Sono andata due o tre volte e mi resi conto che mi sarebbe piaciuto metterli nel mio lavoro. Non è la ricerca del tartufo che mi interessava inserire nel mio lavoro, ma l’idea di un racconto che assomigliasse un po’ a quello di Hansel e Gretel. Stai andando da qualche parte, c’è questa casa nella fotografia, ma nessuno sa dove si sta andando. In un certo senso, più filosofico, stavo guardando a quei sentieri come ai passaggi per entrare e uscire dalla vita. Non è quello che si vede nelle immagini, bensì proprio quello che era nella mia mente. Per la mostra alla Galleria Flowers di Londra ho preparato delle stampe molto grandi, 100×180 cm più o meno, per celebrare il bianco e nero. Gelatina d’argento su carta baritata: è il più tradizionale bianco e nero che si possa ottenere. Stampe perfette: sono così entusiasta e orgogliosa di quel bianco e nero. Quando si dice “Di chi sono?”, io penso siano ben più di me. Al contrario le immagini a colori sono in un formato più piccolo e intimo: 40×40 cm.
Landscape Stories: A cosa sta lavorando in questo momento? Cosa c’è in serbo per il 2014, fotograficamente e non?
Mona Kuhn: La nuova serie si intitola “Private”, è la mia quinta monografia con Steidl; uscirà nella primavera del 2014. Con questa serie si entra nel cuore del deserto americano e se ne esce con una sequenza di immagini seducenti, enigmatiche e un po’ inquietanti. “Private” propone un mondo nel quale realtà concreta e immaginario coincidono. Piante e animali sul bordo della sopravvivenza, paesaggi assolati, terre scolpite dal vento, s’alternano con una serie di nudi che spingono la mia sensibilità per la forma umana in direzioni inaspettate. Il risultato è un libro a metà tra la poesia di Thomas Stearns Eliot, il cinema di Robert Altman, e un sogno lucido. Mi affascina il contrasto tra il vasto deserto americano e la vulnerabilità umana. Nel deserto nulla giunge alla fine: tutto è interconnesso, da una piccola particella di polvere alle specie del cosmo. C’è una essenza dinamica di speranza latente su tutta la sua superficie lineare e sottile. Il deserto mi permette di abbandonare il tempo e lo spazio, risveglia la mia anima ad una più vasta libertà interiore. All’interno di questa nudità, e in questa luce tagliente, cerco i punti sospesi che ci riconciliano in modi misteriosi.
Landscape Stories: Nella vita quotidiana cosa la ispira?
Mona Kuhn: Mi circondo di bellezza: un piccolo bocciolo di fiore accanto alla mia scrivania, una conversazione onesta tra amici, buona musica e tonnellate di libri! Mi piace vedere il lavoro di altri artisti e sono curiosa di assorbire la vita da tutte le angolazioni. È un fiume difficile da navigare, quindi è importante sapere cosa si desidera mantenere vicino al proprio cuore.
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Intervista a cura di Gianpaolo Arena
Traduzione a cura di Sergio Tranquilli