Landscape Stories: Possiamo trovare nei suoi progetti che riguardano l'Europa molte referenze al Sogno Americano. Perché pensa che la fotografia americana sia importante? Chi sono i suoi fotografi americani preferiti?
Yann Gross: Al momento ho realizzato un solo progetto strettamente legato al lifestile Americano. È stato uno dei miei primi progetti e le mie preoccupazioni oggi sono più legate al modo in cui le persone plasmano la loro identità e a come sviluppano un senso di appartenenza ad una comunità. Certamente la fotografia americana dagli anni '70 e '80, ma anche il cinema di quell'epoca, nel caso di "Horizonville" hanno influenzato il mio modo di fotografare. Non avevo soldi per viaggiare perciò ho provato a scappare dalla mia routine, ho preso un motorino e fatto un viaggio-situazione molto americana-in una vallata vicino a casa mia. Ho trasformato questa vita di tutti i giorni attraverso le fotografie, facendo riferimento all'iconografia americana (non sono mai stato negli USA prima di realizzare questa serie ma conoscevo il lavoro di Ed Ruscha, Walker Evans, Diane Arbus ed Edward Hopper).
Landscape Stories: Potrebbe dirci qualcosa in più rispetto alla sua educazione come artista visivo? Cosa pensa sia essenziale nell'insegnamento della fotografia oggi? Potrebbe dirci qualcosa delle scuole di fotografia?
Yann Gross: Le scuole d'arte sono importanti perché si può imparare velocemente e se si manca di disciplina è un posto perfetto. Non sono essenziali ma aiutano molto. Dipende molto anche dal carattere. Entrare nel mondo della fotografia è come entrare in una giungla. Avere una guida può aiutare ad avvicinarsi alla destinazione più presto e si può vedere quello che è supposto debba essere visto. Cominciare un'avventura da soli, può portare a perdersi o arrivare alla destinazione più tardi, ma si possono trovare davvero una miriade di situazioni differenti. I consigli di persone che hanno più esperienza sono sempre molto utili ma alla fine ognuno deve sviluppare un proprio senso critico. Le scuole d'arte sono anche luogo di scambio ed ottime infrastrutture, quindi io penso di poterle assolutamente raccomandare. Io ho frequentato l'ECAL a Losanna e poi vi ho insegnato per 3 anni. Dopodiché ho preso una pausa perché avevo bisogno di tornare nella "giungla" per un periodo.
Landscape Stories: Spesso lei parla di identità ed evasione dalla realtà. Che cosa significano per lei?
Yann Gross: Amo i luoghi remoti, dove le persone possano creare spazi di libertà e cercare la felicità. C'è molta poesia in queste situazioni eccentriche. In qualche modo, pressoché ciascuno ha un goal e desidera trovare qualcosa nella propria vita. Quindi, come definiamo la nostra identità e come cerchiamo il nostro spazio nel mondo? Sono ossessionato da questa domanda. Nel suo libro "Tristi tropici", l'antropologo francese Claude Lévi Strauss scrive: "L'umanità si cristallizza nella monocultura, si prepara a produrre la civiltà in massa, come la barbabietola. Lo stesso piatto ci sarà servito quotidianamente." Concordo con questa sua affermazione e lui era un visionario. In modo particolare oggi, dal momento che Internet ha ormai raggiunto i luoghi più lontani del pianeta. Ma credo che ancora ci siano diverse maniere per far crescere la barbabietola di cui parla Lévi Strauss e questo dipende dagli ingredienti, la "monocultura del piatto" ha ancora un sapore differente
Landscape Stories: Lei ha lavorato in Africa, ora sta lavorando in Sud America. Come cambia il suo approccio alle persone dall'Europa a queste nazioni?
Yann Gross:Non cambia molto, in ogni caso dipende tutto dal tempo. La parte più difficile è imparare una lingua e capire le abitudini e i costumi di un luogo. D'abitudine impiego 3 o 4 anni per sviluppare un progetto e attualmente non faccio solo fotografie, combino il mio lavoro con altre attività. Molto ruota intorno alle collaborazioni: in Uganda, i più giovani volevano che sviluppassimo la scena dello skateboarding, per rivelare che cosa fosse la cultura dello skateboard al paese e per costruire uno skatepark più grande. In Brasile, stiamo progettando di creare un'ingegnosa web TV ed organizzo dei workshop legati all'audiovisivo. Presto realizzeremo dei video clip della prima rap band indigena del Brasile.
Landscape Stories: Nella sua opinione quanto è importante la tecnica nella fotografia? Potrebbe parlarci della modo in cui realizza le sue fotografie?
Yann Gross: Se sei un pittore e hai solo due colori nella tua tavolozza, ad un certo punto troverai dei limiti. Io non sono un addicted della tecnica ma ho sperimentato molto durante i miei studi in modo da ottenere un'estetica che riflettesse le mie preoccupazioni. Ora più evito luci flash, più sono felice. Lavorare con la luce naturale per me è assolutamente una modalità più ricca di possibilità e bella, ma ho dovuto fare moltissime fotografie per rendermene conto.
Landscape Stories: Recentemente ha pubblicato "Kitintale". Come ha vissuto l'esperienza di essere pubblicato? Quali sono i momenti più importanti nella costruzione di un photobook?
Yann Gross: Il primo libro che ho pubblicato è stato "Horizonville" con JRP|Ringier, un ottimo publisher di libri d'arte. Pubblicare un libro è costoso e porta via molto tempo tra l'inizio del processo e la stampa del prodotto finale. "Kitintale" è un self-publish su carta di giornale, una sorta di test per un progetto più grande che avrà luogo in una decina di anni, dato che sto lavorando ancora con la comunità di skaters. Lavorare con un publisher è interessante perché si occuperà lui della distribuzione ed è possibile avere più copie stampate rispetto al self-pusblish. D'altro canto, se non si è artisti molto famosi la diffusione delle copie dei libri è più lenta (tra le 1500 e le 3000 copie) ed i publisher non possono investire economicamente in questo tipo di progetto, non essendo vantaggioso. È necessario trovare i fondi per sostenere il proprio lavoro. Per quanto riguarda "Horizonville" ci sono voluti 18 mesi per essere pubblicato, per "Kitintale" 18 giorni. Ci sono pro e contro in entrambi i casi, evidentemente.
Landscape Stories: Pensando ai suoi lavori più concettuali come "La Barbe" o "Lavina". Cosa può dirci dell'importanza dell'idea? Come sceglie tra una strada più concettuale o una più legata allo storytelling?
Yann Gross: Non vorrei dire che queste serie sono "concettuali", sono più formali sicuramente; penso che dipenda molto dal bisogno di una storia di essere raccontata o piuttosto dalla possibilità di un'immagine di lavorare bene da sola, senza combinazioni o sequenze. Lavorando sul mio progetto sulle valanghe subisco il fascino della forma della valanga e del fenomeno in sé, non sono interessato a documentare il processo del distacco. Per questo mi focalizzo su ciò che deve essere mostrato, la valanga.
Landscape Stories: A volte è possibile trovare un "exotic lifestyle" nelle sue immagini. Potrebbe dirci qualcosa riguardo a come sceglie i suoi soggetti? Per esempio in "Horizonville" lei dice che si è ispirato al film «A Straight Story» di David Lynch. Quali sono le influenze da cui deriva il suo mondo ideale e che cosa la ispira nella vita di tutti i giorni?
Yann Gross: Un momento importante nella storia delle mie immagini è stato il piccolo ma ottimo cinema che si trova nella cittadina dove sono cresciuto (low tech ma economico). Ho scoperto film eccezionali quando ero un ragazzino. Registi come Takeshi Kitano, Carlos Sorín, Aki Kaurismäki, David Lynch o Emir Kusturica mi hanno fatto sognare una finestra sul mondo. Ora nella vita di ogni giorno i viaggi e le persone che incontro sulla mia strada sono la cosa che mi ispira decisamente di più. Quando mi sposto da qualche parte o verso qualcuno posso vedere delle cose, è come se scavassi e avviassi una ricerca per vedere se c'è una storia interessante da raccontare. Il mio lavoro resta documentario, ma nella più parte dei casi organizzo le fotografie, non fotografo intorno a me ma cerco di costruire le immagini che ho in testa.
Landscape Stories: Lei da importanza al valore sociale, economico o politico di ciò che fotografa? Per esempio in "Lavina" c'è un particolare interesse alla condizione delle Alpi?
Yann Gross: Porre il mio interesse solo sul valore estetico o sulle referenze non mi interessa molto, quindi in qualche modo sì, c'è un background in ogni serie che realizzo. Penso che gli aspetti che lei menziona siano molto più presenti nella serie su cui sto lavorando al momento (il Jungle Book). Riguardando a "Lavina", era più che altro una reazione alla classica fotografia di montagna, che nonostante sia bella da vedere mi risultava noiosa. Sono molto vicino all'industria del turismo nelle Alpi dal momento che la mia famiglia viene da un piccolo villaggio non lontano da St-Moritz. Le Alpi sono state un parco giochi per turisti per più di un secolo, quindi non c'era bisogno di avere uno statement che dicesse "ogni cosa è addomesticata", lo sapevamo già (Walter Niedermayr ha realizzato un gran lavoro sulle Alpi). In qualche modo ci doveva essere uno statement che parlasse della condizione delle Alpi, di come io non abbia piantato la mia tenda per due mesi su una vetta aspettando che la valanga venisse giù. Ho lavorato con guide alpine che provocavano le valanghe con la dinamite in modo da prevenire incidenti nelle zone di turismo montano e per salvaguardia degli abitanti dell'area.
Landscape Stories: Lei é diventato membro del collettivo Piece Of Cake. Com'è quest'esperienza? Ci sono molti progetti collettivi emergenti. Cosa ne pensa?
Yann Gross: In maniera un po' naif vorrei dire "insieme siamo più forti". Essere un fotografo è un percorso solitario e in qualche modo abbiamo bisogno di connetterci con gli altri. I collettivi sono importanti per creare dinamicità in un gruppo. Farlo andare avanti per lungo tempo è la vera sfida, perché ogni individuo di un gruppo ha differenti suscettibilità e può avere idee differenti su ciascun punto. Attualmente, Piece of Cake non è un collettivo, ma una specie di network. Non lavoriamo insieme e non abbiamo progetti collegati. Ci incontriamo un paio di volte l'anno per scambiarci idee riguardo i lavori che stiamo portando avanti e riguardo le nostre percezioni riguardo la fotografia. Un po' è come tornare a scuola, un laboratorio in cui puoi mostrare le tue sperimentazioni senza che il tuo lavoro venga giudicato. Certamente ci supportiamo gli uni con gli altri e siamo connessi virtualmente anche durante il resto del tempo. Se uno di noi ha bisogno di consigli o ha un problema gli altri lo supportano.
Intervista a cura di Marina Caneve
Traduzione a cura di Marina Caneve