Landscape Stories: Dove affondano le radici del suo lavoro? Quando ha iniziato la sua carriera nella fotografia e perché? Potrebbe descrivere le sue prime esperienze con la fotografia, sia come spettatore che come artista?
Gary Green: Le mie prime esperienze sono state da adolescente molto giovane, scattando istantanee con le fotocamere di famiglia, Kodak Brownie e Ansco, per poi imparare a sviluppare le pellicole, fare le stampe... nella mia camera oscura fatta in casa nel seminterrato. Ho imparato a usare una fotocamera manuale da 35 mm quando avevo circa tredici o quattordici anni. Ero un ragazzo molto curioso e mi piaceva davvero capire le cose da solo. Ho anche seguito un paio di corsi di fotografia al liceo. Sono stato subito incuriosito dalle qualità magiche della fotografia, e ancora oggi sono stupito dall'alchimia unica del mezzo.
Mi sono laureato in arte e fotografia come studente universitario e ho iniziato la mia carriera professionale quando mi sono successivamente trasferito a New York City nel 1976. È stato allora che ho iniziato a lavorare come assistente fotografo e a realizzare il lavoro che ha portato a "When Midnight Comes Around". Quel lavoro mi ha dato fiducia nella mia capacità di realizzare fotografie che andavano oltre le istantanee o gli incarichi universitari. Ha portato anche a commissioni e incarichi per riviste e case discografiche. Quasi dieci anni trascorsi a fare fotografie su commissione e ad essere assistente in servizi pubblicitari ed editoriali, oltre a svolgere il mio lavoro, mi hanno fatto capire che non volevo essere un fotografo freelance e che non ero particolarmente bravo a fare foto a pagamento. Inoltre, le persone che mi era piaciuto fotografare e la scena a cui appartenevano si stavano spostando o andavano via, e ho sentito che era giunto il momento per me di fare lo stesso. Volevo iniziare a fare immagini che rappresentassero ciò che vedevo e sentivo e qui è iniziata la mia seconda carriera. Alcuni anni dopo aver lasciato New York City nel 1986, sono tornato alla scuola di specializzazione al Bard College e alla fine ho iniziato a insegnare e sviluppare quello che avrei considerato un lavoro maturo e più personale.
Quanto a chi stavo guardando in quei primi giorni, ero piuttosto ingenuo. Conoscevo il lavoro di Diane Arbus e Richard Avedon, forse pochi altri. Stavo anche guardando i fotografi editoriali che hanno pubblicato su Vogue o Harper's Bazaar. Conoscevo fotografi come David Bailey, William Klein, Duane Michaels, Irving Penn. Avevo visto il lavoro di Garry Winogrand e sapevo di Lee Friedlander, ma sono sicuro di non aver capito il loro linguaggio fotografico nella misura in cui ho poi apprezzato il loro lavoro tempo dopo. Sono andato a vedere la famigerata mostra di William Eggleston al MoMA e diverse esposizioni di lavori contemporanei alla Light Gallery, forse un paio al Metropolitan Museum di New York. La storia della fotografia era una cosa pressoché sconosciuta per me e non ho colmato questa lacuna fino a quando non sono andato alla scuola di specializzazione e ho frequentato corsi universitari di storia della fotografia.
Landscape Stories: Quale artista ha ispirato di più i suoi esordi? Chi sono i suoi artisti preferiti e perché? Quale fotografo la ha influenzata maggiormente?
Gary Green: Nei miei vent'anni, come ho detto, c'era un gruppo limitato di artisti di cui sapevo molto. Diane Arbus, Lisette Model e Henri Cartier-Bresson erano praticamente il canone per me a quel punto. Ho seguito un corso all'ICP, una specie di seminario in due parti con Duane Michals, che è stato divertente. Quando sono arrivato alla scuola di specializzazione, il canone si è accresciuto ed è mutato. Sono andato molto più a fondo nel lignaggio dei fotografi d'arte come Walker Evans e Robert Frank, e di alcuni dei fotografi del New Topographics: Robert Adams, Joe Deal, Lewis Baltz, i coniugi Bernd ed Hilla Becher… Ho saputo del lavoro di Eugene Atget, che per me resta al vertice. Emmet Gowin è entrato nella mia visione. Ho saputo di Jan Groover e Judith Joy Ross, che frequentava il Bard. Questi sono ancora oggi i fotografi che ammiro e considero di più. In termini di chi mi ha influenzato di più, dovrei dire Robert Adams e Stephen Shore. Stephen come professore al Bard, la sua scrittura e il suo insegnamento della grammatica, del vocabolario e della sintassi del mezzo guida ancora il mio lavoro di fotografo e insegnante. Mi ha anche dato la fiducia e l'incoraggiamento per perseguire la straight photography, in un momento in cui era stata emarginata dal post-modernismo e dalla fotografia concettuale. Ma è Robert Adams, attraverso i suoi scritti e le sue fotografie, il suo attivismo e la sua assoluta integrità, il mio riferimento assoluto. È difficile quantificare quanto ho imparato a prestare attenzione alla luce e fare libri attraverso i suoi numerosi e superbi esempi. È un mentore generoso, che incoraggia tanti di noi che lottano per mantenere il tipo di fotografie che rendiamo rilevanti in un mondo saturo di immagini e di rumore.
Landscape Stories: Dove troviamo l'origine del suo sguardo poetico? In che modo la sua visione si è affinata nel tempo? Come descriverebbe la sua voce, il suo linguaggio fotografico e il suo modo di lavorare e il processo creativo?
Gary Green: L'affermazione che io abbia una visione poetica è lusinghiera, quindi grazie per averlo detto! È difficile da dire ma suppongo che come tutti, il mio lavoro si sia sviluppato in diversi modi. Faccio quasi sempre foto e questa pratica è al centro di ogni progresso che faccio. Come ho detto, guardo molti lavori e questa attenzione mi insegna costantemente. Non mi vergogno a dire che il guardare Eugene Atget, Robert Adams, Judith Ross, Jan Groover e altri ancora mi guida e mi fa sentire parte di un'importante indagine in corso sulle nostre capacità percettive. Una parte importante del perfezionamento della mia visione è dovuta allo stesso mestiere, l'insegnamento, che faccio dal 1994. Imparo dovendo insegnare e imparo guardando il lavoro dei miei studenti, dai quali apprendo una quantità straordinaria di cose.
Ho iniziato a stampare più sapientemente durante la scuola di specializzazione e sento ancora che le stampe che realizzo - argento, digitale o a colori - sono fondamentali per descrivere ciò che vedo. Ogni volta che commetto un errore o realizzo qualcosa di buono, le mie capacità sensoriali vengono ulteriormente affinate. Nel complesso, non è una cosa sola. Penso che come tutta l'arte, sia essa scritta, visiva o sonora, la fotografia riguardi il montaggio e il perfezionamento. Non so di preciso ma penso che il mio processo sia coerente e diretto, in continua evoluzione in modi impercettibili e comunque abbastanza flessibile da accettare diversi tipi di immagini e progetti.
Sono anche influenzato o rassicurato da alcuni scrittori di fotografia. Direi che l'eccellente saggio di Gerry Badger, "Without Author or Art: The Quiet Photograph", descrive un modo di lavorare che sottoscrivo e a cui aspiro. L'ho letto molte volte, spesso con i miei studenti, nelle sue due forme (una proviene dalla sua collezione, "The Pleasures of Good Photographs", l'altra dal catalogo di Thomas Weski, "How You Look at it". E la "La Bellezza in Fotografia – Saggi in difesa dei valori tradizionali"(Beauty in Photography) di Robert Adams mi ricorda ripetutamente molte cose che non devo dimenticare.
Landscape Stories: Pensa che ci siano relazioni tra fotografia, pittura, scultura e musica? Sente delle influenze da altre forme espressive come la letteratura o la musica?
Gary Green: Certamente! Sono commosso dalla scrittura, dalla musica e da altre forme, di arte visiva. Nel mio mondo, Townes van Zandt è uguale a Walker Evans è uguale a Willa Cather è uguale a Mary Oliver. Quando ho ascoltato per la prima volta un disco di Townes van Zandt, sono rimasto sbalordito dalla purezza della sua voce e dalla precisione dei suoi testi e della sua interpretazione.
Tornando ai tempi del Bard College, mi sono interessato di più ad altri media, in particolare alla pittura moderna e contemporanea e alle opere su carta. Sono un grande fan del lavoro di Brice Marden, Cy Twombly, Mark Rothko, Vija Celmins, Agnes Martin e tanti altri. Penso che influenzino il mio lavoro, ma soprattutto nutrono la mia anima e mi ispirano a continuare a lavorare. Certo, Giorgio Morandi, il cui lavoro mi ha sempre attratto, è abbastanza spesso nella mia testa. Il suo lavoro si avvicinerebbe di più a influenzare direttamente un mio progetto.
Peter Hutton, che era un amico e professore al Bard College, rimane una delle mie guide. Sebbene sia morto nel 2016, i film muti di paesaggio di Peter - e devono essere visti proiettati - sono una delle mie influenze più costanti e il lavoro di un artista eccezionale.
La musica, a partire dal lavoro che ho fatto negli anni Settanta, è sempre stata una parte importante della mia vita. Ho un gusto eclettico e diventa sempre più ampio e profondo. La musica può influenzarmi in molti modi, ma penso che principalmente mi ispiri più che influenzare ciò che faccio. Nel mio quotidiano c'è spesso roba come Bob Dylan, Neil Young, Bruce Springsteen, Lucinda Williams e quant'altro; di tanto in tanto mi piace risentire i Velvet Underground, i Modern Lovers, i Television, Alex Chilton e i Big Star. Amo la musica country d'altri tempi dalla Carter Family a George Jones; il jazz da Miles Davis, John Coltrane, Ella Fitzgerald, Fred Hersch ed Ethan Iverson. Elvis Costello è sempre al top, per non parlare di Gram Parsons e di Emmy Lou Harris. Un po' di musica doo wop. Merle Haggard e Hank Williams. Un po' di musica classica e opera, sebbene io non sia un esperto di quei generi, commuovono anche me. E sono anche un grande fan di Sondheim e Yo-Yo Ma!
Landscape Stories: La sua monografia "After Morandi" (L'Artiere, 2016) è una conversazione visiva con l'opera del pittore modernista italiano Giorgio Morandi. C'è qualcosa nel titolo che ci guida durante lo svolgimento della sequenza? Può parlarne ancora un po'?
Gary Green: Ho iniziato quel lavoro nel 2014, quando ho preso il mio primo anno sabbatico al Colby College, dove insegno. Ho deciso di trovare una residenza in Italia, dove non ero mai stato, e ho iniziato il viaggio a Bologna per visitare la casa di una vita di Morandi. Ho fatto alcune fotografie della sua camera da letto-studio e alcune altre della casa. Era più un pellegrinaggio che l'idea che questo facesse parte di un nuovo progetto. Tuttavia, dopo quella visita e la successiva residenza di un mese ad Assisi, sono tornato a casa con un sacco di pellicole medio formato e molti fogli di pellicola 8x10" da elaborare. Alla fine, quello su cui pensavo di aver lavorato - un libro di passeggiate sul Monte Subasio, dove San Francesco aveva camminato e si era ritirato - divenne un libro su Morandi. È stato un processo molto organico e intuitivo che ha preso il sopravvento, motivo per cui il libro, se ha un flusso narrativo, assume la forma di ciò che Gerry Badger ha descritto come la narrativa ellittica . Il libro inizia con una fotografia di una semplice brocca di metallo che ho realizzato perché sembra quella che sarebbe stata in un dipinto di Morandi. Nell'obiettivo si è manifestato del flare o la pellicola si è appannata e quindi c'è una specie di luce mistica che entra da un lato. Per me è lo spirito di Morandi stesso. Da lì si passa a una fotografia del suo studio e poi altre immagini di Assisi e di Bologna, dove sento che i materiali e l'architettura fanno parte della storia visiva del pittore. Il libro approda finalmente a una serie di nature morte che ho realizzato ad Assisi durante la residenza. Sono così diverse da tutte le immagini che ho fatto prima e mi ci è voluto un po' per pensare di poterle mostrare a chiunque. Quindi, il libro è impegnativo se si pensa a una sequenza di narrativa chiara o a un significato specifico, ma, come scrivo nel retro del libro, è inteso sia come un omaggio che come una conversazione con il lavoro di Morandi.
Landscape Stories: Raccoglie informazioni specifiche su ciò che fotograferà? Ha alcune idee che vorrebbe realizzare. Come sviluppa i suoi progetti? Qual è il suo approccio metodologico e il suo intento?
Gary Green: Sono perlopiù intuitivo quando fotografo. Di solito sono attratto da un luogo perché mi interessa e fornisce le materie prime per i tipi di fotografie che voglio fare. Se ha un significato oltre a questo, lo tengo a mente. Torno a una cosa che ha detto Jan Groover, ovvero che una volta scelto un luogo per fotografare, devi solo pensare a fare le foto. Penso che sia per lo più vero. Ho fotografato nel North Maine Woods da quando sono arrivato nel Maine centrale e, in quel caso, faccio delle scelte particolari per fotografare lì con l'idea di mostrare la storia dei cambiamenti che si sono verificati. Ma cerco di non esagerare. Cerco di leggere informazioni su un luogo se è appropriato. Quando fotografavo nelle praterie e nelle Grandi Pianure negli anni '90, leggevo "My Antonia" di Willa Cather e "Dakota" di Kathleen Norris, oltre alla letteratura regionale di scrittori come Mari Sandoz delle Sandhills del Nebraska. Ho anche letto "Great Plains" di Ian Frazier, che è un libro fantastico. Cerco di sentire un po' di più il luogo attraverso le loro descrizioni del luogo stesso e della storia. Fotografare nel Maine mi ha portato a Henry David Thoreau e al biologo Bernd Heinrich. Quando fotografo nella mia zona, in pratica esco alla ricerca di fotografie senza molti preconcetti. Devo dire che sono più felice di uscire con la mia macchina fotografica e il mio film per trovare qualcosa in cui scavare. È un po' come nel libro "Democratic Forest" di William Eggleston in quanto qualsiasi cosa può essere di valore come soggetto per una fotografia.
Landscape Stories: Ha un metodo di lavoro che segue per ogni serie o varia per ogni diverso progetto?
Gary Green: Direi che varia parecchio. Ad esempio, il libro "The River" è insolito in quanto è un po' più chiaramente concettualizzato rispetto alla maggior parte del mio lavoro. Dopo aver fatto un paio di fotografie col telefono del ruscello vicino a casa mia, ho deciso che avrei continuato a farlo per un anno o due e avrei fatto un libro. Questo è insolito per me, ma aveva senso per queste immagini. In questo caso, durante i due anni in cui ci ho lavorato, uscivo con la mia macchina 5x7 "(13x18cm) posizionata in diversi punti e lo facevo in diversi momenti della giornata e in differenti condizioni atmosferiche. Scelta deliberata, potrebbe anche essere portata avanti nei ritagli di tempo poiché era vicino a casa. Era una routine, una specie di meditazione. Altri progetti vengono da me poco a poco e si basano un po' sul caso. Qualunque cosa io pianifichi, raramente il lavoro è quello che mi aspetto, quindi sono abbastanza aperto a trovare le mie foto lungo la strada. La fotocamera che utilizzo, che sia medio o grande formato, dipende dalle circostanze in cui sto fotografando. Ho portato con me l'attrezzatura 8x10"(20x25cm) ad Assisi e Bologna, ma non credo di potercela fare più. Il 5x7" è un po' più facile e leggero da trasportare. Le mie fotocamere di medio formato sono ancora più facili e mi consentono di lavorare in modo più fluido. Ovviamente, come tutti quelli che conosco, il mio telefono ora fa parte della mia cassetta degli attrezzi. La fotografia monocolore di "After Morandi" è stata fatta col mio iPhone.
Landscape Stories: "When Midnight Comes Around" contiene una selezione del suo lavoro fotografico realizzato nella scena artistica e musicale di New York negli anni '70 e '80. È stato pubblicato dall'editore inglese Stanley Barker nel 2020. Come è iniziata la sua collaborazione con Stanley Barker? Potrebbe dirci qualcosa di più sulla creazione del libro? Le dispiace spiegare ai nostri lettori perché ha scelto di realizzare questo libro e cosa spera di ottenere con esso?
Gary Green: Mark Steinmetz mi aveva suggerito di contattare Stanley Barker nel Regno Unito per scrivere un libro. È stato così gentile da raccomandarmi a Rachel e Gregory che successivamente mi hanno contattato. La sorpresa per me è stata che erano interessati al mio lavoro degli anni Settanta e Ottanta, quando fotografavo la scena musicale della New York dowtown. Guardando il loro catalogo di libri, però, non è chiaramente un'aberrazione ma un'affermazione del loro impegno a lavorare intorno a un tempo passato che non è ancora stato pubblicato. Ecco come è iniziato. Lavorando con L'Artiere, i miei libri sono stati in gran parte progettati e creati da me prima di iniziare a collaborare su dettagli, carta, inchiostri... Con Stanley Barker, gran parte del processo e della meccanica sono stati nelle loro mani, il che era scoraggiante ma anche eccitante, in quanto ho atteso cosa qualcun altro avrebbe fatto con il mio lavoro. Abbiamo eseguito molte revisioni della sequenza e del layout prima di concordare quanto poi prodotto insieme. La copertina, disegnata dai loro stessi designer, era totalmente loro e non riesco a immaginare una copertina migliore per il libro. Il carattere tipografico che hanno usato è su misura, progettato solo per questo libro.
Lavoro per la maggior parte da solo fino a quando non si tratta di realizzare un libro o una mostra e parte di ciò che amo di questo è collaborare con persone creative e con cui è piacevole lavorare. Sono felice che il libro e le immagini siano ora disponibili nel mondo. Abbiamo ottenuto così tante recensioni positive sul libro realizzato e continua a stupirmi di quanto interesse ci sia stato, non solo nel periodo, ma per la particolare sensibilità e design del libro. Ci sono state anche parecchie persone che mi hanno contattato per essere state raffigurate o presenti nel libro. Quella parte è stata davvero speciale.
Landscape Stories: Facendo riferimento al suo libro "When Midnight Comes Around", come si è evoluto il progetto dall'inizio? The Walls, Max's Kansas City, CBGB, Ocean Club, Hurray, Trax, Village Gate fanno parte della storia della musica. Come sceglie i luoghi che rappresenta nelle sue foto? Cosa la spinge verso la scelta di una location piuttosto che di un'altra?
Gary Green: Mi sono trasferito a New York dopo il college e stavo lavorando come assistente di un fotografo. Ero già innamorato delle band di New York attraverso gli amici del liceo e del college e non vedevo l'ora di iniziare a vederli dal vivo e di capire di cosa si trattava. Non credo di aver mai avuto una fotocamera. Max e CBGB erano i punti di riferimento per la maggior parte della musica, ma, come hai detto, anche gli altri club erano in gioco. L'attrazione per Max e CBGB in particolare è che era lì che suonavano la maggior parte delle band e dove potevo sempre entrare libero per fare foto. Hurrahs e Trax arrivarono un po' dopo, ma, di nuovo, andavo in quei club per una o più band in particolare, mentre gli altri, che erano a downtown, erano i posti principali, dove mi piaceva uscire, bere qualcosa e fare fotografie.
Landscape Stories: Alan Vega, Lou Reed, Richard Hell, Johnny Thunders, Alex Chilton sono alcuni dei miei personali eroi musicali. Come sceglie le persone che fotografa? Qual è la storia dietro i servizi fotografici? Può raccontarci qualcosa in più?
Gary Green: Essi variano. Alcuni erano incarichi, in altri volevo solo fotografare qualcuno, contattarli e poi forse pubblicare il lavoro o meno. Alan Vega, l'ho fotografato per The New York Rocker, un grande tabloid che mi ha dato il mio primo incarico. A quel tempo il defunto Alan Betrock mi diede degli incarichi. Successivamente è stato Andy Schwartz. Lou Reed l'ho fotografato per caso perché ero amico di David Johansen, che suonava al Bottom Line per presentare il suo primo album omonimo. Quando sono andato nel backstage, oltre a me c'erano Andy, Lou, e David e abbiamo realizzato ciò che era insolito per me in quel momento, una specie di prova istantanea dell'incontro. In retrospettiva, sono così felice di aver esposto quei fotogrammi perché ora rispetto la natura del mio istinto: catturare un momento nel tempo e nella storia. Per la maggior parte, ho cercato le persone alla cui musica tenevo.
Landscape Stories: Quanto è importante la dimensione narrativa nel suo lavoro? Come concepisce le sue foto ... come scatti singoli o meglio come una sequenza di scatti?
Gary Green: Direi che una serie di fotografie è sempre il mio obiettivo, anche se, ovviamente, faccio una foto alla volta. Per realizzare qualsiasi cosa con la fotografia, raccontare una sorta di narrativa, mettere una specie di carne sulle ossa, sento che ho bisogno dell'interazione di una serie. Una foto ci dice molto poco e non sono nemmeno un grande fan dell'idea del capolavoro. Ancora una volta, torno a Gerry Badger e alla sua idea della narrazione ellittica: non una sola storia né in linea retta. Mi piace pensare che gran parte del mio lavoro sia basato su questo tipo di pensiero, che le mie immagini suggeriscano varie narrazioni ma non necessariamente risolvono nessuna di esse. Cerco di mantenere il lavoro e la serie aperti all'esplorazione e alla comprensione da parte degli spettatori.
Landscape Stories: Quali immagini vorrebbe avere nel suo museo ideale? Del passato e della contemporaneità...
Gary Green: Immagino che includerei fotografi che sono pietre di paragone per me, quelli presso cui posso sempre cercare qualcosa. Comincerei con i disegni fotogenici di William Henry Fox Talbot e i cianotipi di Anna Atkins. Includerei August Sander ed Eugene Atget, e poi Robert Adams, Emmet Gowin, Robert Frank, Walker Evans, Lee Friedlander e Roy DeCarava. La stampa e il processo sono importanti per me, quindi avrei stampe in platino di Jan Groover, Andrea Modica e Laura Volkerding, oltre a stampe in argento di Judith Joy Ross e Linda Connor. Includerei i dye transfer di Eggleston e le prime stampe Vintage Original Type-C di Stephen Shore. Ci saranno anche fotografie più recenti di An-My-Lê e di Mark Steinmetz. Il mio museo ideale dovrebbe includere anche una libreria con tutti i libri importanti di fotografia disponibili e una caffetteria con ottimi caffè e pasticcini!
Landscape Stories: La sua ultima pubblicazione "The River is Moving/The Blackbird Must be Flying" (L'Artiere, 2020) è una meditazione sulla natura riguardante i suoi luoghi nativi a Waterville, nel Maine. Quanto è profondamente influenzato dall'ambiente e dai luoghi in cui è cresciuto? In che misura le immagini della sua infanzia sono ancora presenti nelle sue fotografie? C'è qualcosa di speciale che la ispira e la spinge a creare una certa sensazione?
Gary Green: Penso che i luoghi in cui ho vissuto siano stati molto importanti per il mio lavoro. In effetti, negli ultimi due anni ho iniziato un progetto su Long Island, dove sono creesciuto, a circa 45 minuti da New York City. A quel punto erano i sobborghi fiorenti, ma ancora con resti dei primi anni di agricoltura (patate, latticini, ecc…), e la sua storia indigena con nomi di città che spesso non riflettevano la cultura nativa delle tribù Matinecock e Shinnecock. C'erano ancora molti lotti vuoti, spazi aperti, dove un bambino poteva girovagare e giocare. Ho iniziato a sentire un forte bisogno di tornare lì e ho iniziato un progetto a lungo termine. Di nuovo, non so ancora cosa sto facendo. Sembra sia familiare che estraneo e per molti versi triste. Ho sentito persone dire che il tuo corpo ricorda ogni momento della sua vita, quindi mi fido (o cerco di fidarmi) dell'idea che so dove sono anche se non ricordo. Forse è solo un modo per ingannare me stesso o darmi un po' di fiducia in quello che sto facendo, ma penso che ci sia qualcosa in noi che è connesso fisicamente ai luoghi in cui siamo stati. Ho passato molto tempo con il lavoro che ho fatto lì e l'ho condiviso con alcune persone di cui mi fido. Penso di aver iniziato col piede giusto, ma ho molta strada da fare.
Landscape Stories: Il paesaggio è stato un soggetto costante in tutti i periodi artistici. Che valore e che significato assume per lei il paesaggio oggi? L'uomo dovrebbe ancora contemplare e comprendere il paesaggio, la natura della sua esistenza, attraverso le sue rappresentazioni?
Gary Green: Il paesaggio sarà sempre importante da vedere e studiare per molte ragioni. Mostra le cicatrici della vita umana sulla sua superficie. Rivela la storia delle società nel tempo. Descrive un pezzo di mondo che può essere compreso per mezzo del suo ordine e dalla sua forma. Il mio lavoro, che è principalmente realizzato nell'ambiente costruito, descrive la storia del mio tempo in vari luoghi. Quello che ho visto, cosa è cambiato. La luce, il cielo, la flora, la strada, gli edifici - tutti i piccoli pezzi narrativi di una fotografia di paesaggio - fanno tutti parte del linguaggio che, se impiegato con diligenza, rivela più della somma delle sue parti. Ritengo che guardando in profondità l'ambiente costruito, siamo in grado di capire di più su noi stessi e sulle nostre comunità. Le immagini di paesaggi possono anche, a volte, confermare il nostro amore e desiderio per il mondo naturale. Robert Adams ha scritto: "Credo che le immagini di paesaggio possano presentarci tre verità: la verità geografica, quella autobiografica e quella metaforica. La geografia di per se stessa è a volte noiosa, l'autobiografia spesso banale, e la metafora può essere equivoca. Ma presi insieme, (...), questi tre tipi di informazione si rafforzano a vicenda e alimentano ciò che tutti cerchiamo di mantenere intatto: l'attaccamento alla vita"(1). Penso che le sue parole lo spieghino al meglio.
Landscape Stories: Quali pubblicazioni sente vicine o influenti in relazione al suo "The River is Moving/The Blackbird Must be Flying"?
Gary Green: C'è una fragilità in questo nuovo libro che riflette il tono delle fotografie e del titolo. È dovuto in gran parte al lavoro di Gianmarco e Gianluca Gamberini delle Edizioni L'Artiere, che hanno pienamente sentito e realizzato il contenuto per produrre quello che penso sia una sorta di elegante quaderno con una sola poesia, la sequenza di fotografie. È delicato: la "sovraccoperta" è facile da rimuovere o sgualcire. Quando viene rimossa, espone il dorso aperto del libro, il centro della sua integrità strutturale e vulnerabilità. Come la natura, come i sentimenti, persino come una Repubblica, bisogna prestare attenzione, maneggiarla con cura e capire che ciò che facciamo a qualsiasi essere vivente sulla terra, lo facciamo a noi stessi e a tutti gli altri.
Non conosco un libro intero o specifico che sia stato influente, ma la cosa più vicina sarebbe la poesia di Wallace Stevens "Thirteen Ways of Looking at a Blackbird", da cui deriva il titolo. Per me riflette come la natura sia universale, una cosa è uguale all'altra. Ma suscita anche l'idea di un libro fotografico.
Come per altri fotolibri che hanno una fisicità e semplicità simili, mi piacciono i piccoli libri che Robert Frank stava facendo con Steidl, quelli con una custodia sottile e scoperta. C'è qualcosa di squisito in quei piccoli libri semplici, ognuno una poesia. C'è anche un bellissimo libriccino che ho acquistato da Datz Press intitolato "Notes" di Alyssa Minahan. Le sue immagini, una serie di note visive ed esperimenti utilizzando carta e pellicola analogica, creano un sottile, magico e misterioso tour del processo fotografico e del colore. Sul retro c'è una stampa non fissata che, nel tempo, continuerà a mutare. È un bel libro.
Landscape Stories: Dal 2007 è professore associato di arte al Colby College. Lei è sia un fotografo che un educatore. In che modo ciascun ruolo ha influenzato l'altro?
Gary Green: Il mio entusiasmo e il mio impegno per quello che sto facendo come fotografo alimentano il mio lavoro di educatore. Faccio capire ai miei studenti quanto sia devoto ed entusiasta alla fotografia e come questo mi abbia fornito una vita straordinaria. Voglio che amino quello che stanno facendo tanto quanto me. È piuttosto cruciale avere successo in qualsiasi partita competitiva.
L'insegnamento è un lavoro incredibilmente difficile che può essere sia faticoso che stimolante. Lo adoro, però. È impegnativo, mi costringe ad articolare ciò che sento o penso, mi tiene in contatto con studenti brillanti e di talento e trovo che il campus universitario sia un luogo eccitante e stimolante, pieno di menti straordinarie e un'abbondanza di energia. Mi stimola ad andare avanti. Mi piace anche insegnare in un college di arti liberali, dove non tutti i miei studenti stanno nemmeno pensando a una carriera nella fotografia ma la prendono sul serio come qualsiasi altra materia accademica. Quegli studenti portano con sé in studio un mondo molto diverso. C'è molta interdisciplinarietà a Colby, il che mi sta bene.
L'insegnamento mi ha reso migliore nel mio mestiere e mi ha aiutato a guidarmi come artista. Sì, ci vuole molto tempo che potrei usare per fare fotografie, ma mi piace la struttura, il dare e avere con i colleghi e il modo in cui ci si sente a mettere tutto ciò che si ha per aiutare qualcun altro a capire un'idea sottile o complessa. Mi aiuta a crescere e mi mantiene umile. Soprattutto, è un modo per guadagnarsi da vivere che coinvolga pienamente la mia passione per il medium.
Landscape Stories: Insegnare Fotografia: fino a che punto è possibile insegnare la fotografia? Qualche consiglio per gli studenti che studiano attualmente?
Gary Green: Non credo che si possa davvero insegnare a qualcun altro come fare arte. Quello che puoi insegnare è la tecnica, che è da dove comincio. A parte questo, mostro loro esempi di lavoro di successo e cerco di spiegare perché funzionano. Leggiamo e discutiamo del linguaggio della fotografia, del suo vocabolario e della sua grammatica. Guardiamo libri, stampe, mostre. Abbiamo critiche regolari, che consentono a me e agli studenti di essere analitici su ciò che fanno; cosa funziona e perché, cosa non funziona, ecc. Insegno loro il processo e come il lavoro che svolgono può dare forma ai loro impegni futuri. E mostro loro come le fotografie si parlano tra loro attraverso libri e mostre. Per i primi corsi, dò loro incarichi che consentono di esplorare il mezzo in una varietà di modi: la sua piattezza, profondità di campo, inquadratura, ecc. In definitiva, ci vogliono anni di pratica e impegno per trovare appieno il tuo equilibrio e la tua fiducia. Posso guidarli dolcemente attraverso la prima parte di questo viaggio, ma il resto si riduce alla loro etica del lavoro e al loro interesse per il mezzo. La mia speranza è che, almeno, se ne vadano visivamente alfabetizzati.
Landscape Stories: Quali sono i suoi piani per il prossimo futuro? Ha in programma altri libri?
Gary Green: Direi parecchi… Da circa dieci anni sto cercando di terminare un gruppo di lavori che svolgo nel Maine centrale. Alcuni di essi sono stati esposti in piccoli gruppi, ma voglio farne un libro ed è stato difficile affrontarli tutti insieme. Ho anche avviato un progetto su dove sono cresciuto a Long Island. Ciò richiederà più visite e molto più lavoro per mettere assieme le parti. Ho anche fotografato il North Maine Woods, incentrato su una strada di disboscamento nota come The Golden Road. Ho fatto due lunghe visite nella regione e voglio farne almeno un'altra prima di provare a mettere tutto insieme per un libro. E ho un altro gruppo di lavoro che ho fatto vicino ad Assisi sul Monte Subasio. Le fotografie sono state fatte durante le passeggiate che ho fatto durante una residenza. Vorrei farci un libro. E ho girato molti film durante la pandemia che vorrei mettere insieme in un piccolo libro o anche in una zine. È un inizio! Ho molto da realizzare ma ci vorrà del tempo, quindi cerco di essere paziente e di lavorare su non più di un progetto o due alla volta. Con la mia pratica cerco di avere una visione a lungo termine.
1: Adams, Robert, "Truth and Landscape," Beauty in Photography: Essays in Defense of Traditional Values, Aperture Inc., Millerton, N.Y., 1981.
Intervista a cura di Gianpaolo Arena
Traduzione a cura di Sergio Tranquilli