Landscape Stories: Cominciamo dal principio. Come ha iniziato a fotografare? Come ha sviluppato le sue abilità di fotografo in giovane età?
Michael Lundgren: La prima foto che ricordo di aver fatto fu di un albero in un prato dietro casa mia. Avevo forse 8 anni. Avevamo questa vecchia macchina fotografica Argus biottica e ho iniziato a gironzolare là fuori perché in autunno questo particolare albero sembrava fosse in fiamme. Ricordo di averlo inquadrato nel pozzetto. Ricordo il suono del pulsante di scatto. Non ho mai scoperto se l'albero avesse davvero l'aspetto di un fuoco perché non c'era pellicola nella macchina fotografica! Il mio primo vero approccio è stato in un luogo chiamato Community Darkroom, che si trovava al piano superiore di una stazione dei pompieri convertita in Monroe Avenue a Rochester, New York. C'era una piccola camera oscura con alcuni ingranditori, una sala di rifinitura e un'aula. Fu il mio primo vero assaggio con la chimica. Ho seguito corsi di fotografia al liceo e ho trascorso molto tempo nella camera oscura della scuola. Non ero una persona sociale e la camera oscura era il mio regno. In seguito ho studiato fotografia al Rochester Institute of Technology e alla fine degli anni 90 mi sono trasferito nel deserto e ho iniziato i miei studi universitari presso la Arizona State University.
Landscape Stories: Potrebbe descrivere le sue prime esperienze con la fotografia, sia come spettatore che come artista?
Michael Lundgren: Volevo stare fuori, in mezzo alla natura. All'inizio cercavo le singole cose: questo albero, questo ruscello, questo campo. Ma guardare la fotografia di natura e paesaggio in voga mi faceva venire molti dubbi. C'era questa spaccatura tra fotografia naturalistica e fotografia paesaggistica. Se volevi diventare un fotografo naturalista, la prima cosa che dovevi fare era non includere alcun elemento umano. Se volevi diventare un fotografo di paesaggio, il lavoro doveva riguardare l'essere umano. Questo mi aveva davvero confuso. C'era uno spazio intermedio? Dove vivevo io la maestosità di un paesaggio alla Ansel Adams non era un'opzione. La foresta in cui sono cresciuto era piccola, intima, decadente - rigogliosa in estate e rada e silenziosa in inverno. Quando ero studente, ho visto una grande mostra di Minor White. Non ricordo se fosse a New York o all'Eastman House a Rochester, ma ricordo di essere rimasto scioccato da quanto fossero carnali le immagini. Alberi e sabbia e luce e rami - tutti simili alla mia stessa fisicità. Li percepivo reali, spirituali e sessuali, il che rappresentava una nuova occasione di confusione per me. Cosa c'entra la materia con lo spirito?
In seguito ho scoperto che White era un seguace di G.I. Gurdjieff, un filosofo mistico armeno. Mio padre era ed è tuttora un membro praticante di un gruppo legato a Gurdjieff a Rochester e io stesso l'ho frequentato dal liceo fino a quando non mi sono trasferito nel deserto. Un principio di base di questa filosofia è lo sforzo di "essere" nel momento presente e di porre attenzione alla domanda più profonda che queste esperienze trasmettono. C'era questa risonanza quindi che mi spingeva a cercare un significato più profondo nelle mie fotografie. Ho iniziato a vedere il processo di essere nel presente come un corollario alla capacità "esplorativa" della macchina fotografica.
Landscape Stories: Quale poesia o artista ha influenzato maggiormente i suoi inizi? Quale fotografo l'ha ispirata di più?
Michael Lundgren: Le mie prime influenze letterarie sono stati scrittori come Barry Lopez e i suoi libri su paesaggio e cultura, ma prima ero affascinato dalla mitologia e dai racconti dei nativi americani che consideravano gli esseri umani come membri della cultura della Terra - come The Education of Little Tree di Forest Carter e Black Elk Speaks di John Neihardt. Questi libri hanno educato la mia coscienza, ma hanno anche influenzato la mia visione basata sulla stretta connessione con la terra e con la spiritualità. Thomas Joshua Cooper è stato quindi un'influenza fondamentale. In particolare il suo libro, Between Dark and Dark, questo misterioso volume di fotografie che riesce a tirare fuori magia e astrazione dal più semplice dei paesaggi. Ero attratto dalla loro qualità nei toni oscuri. Le stampe si spingevano contro la tradizionale stampa a tono pieno che mi avevano insegnato a fare. C'era una sorta di "vantaggio visivo" in queste stampe, come se guardandole da un particolare punto di osservazione, potessero cadere nel buio totale. Eppure erano così dettagliate e tridimensionali: queste differenze producevano una spaccatura, un'oscura chiarezza da affrontare. Ho iniziato a pensare che un'immagine dovrebbe contenere più di una natura al suo interno.
Landscape Stories: Quanto profondamente è influenzato dall'ambiente e dai luoghi in cui è cresciuto? In che modo pensa che questi luoghi abbiano influenzato il suo lavoro? In che modo questi elementi influiscono sul modo in cui scatta?
Michael Lundgren: Avevamo acri di boschi e campi intorno alla nostra casa. E fuori c'era la periferia. Mi sono reso conto presto di essere fortunato. Ho trascorso i miei anni formativi in quei piccoli spazi selvaggi. Ho amato questi luoghi come non potrebbe succedere se hai solo la possibilità di andare in vacanza in mezzo alla natura giusto un paio di settimane l'anno. Devo ringraziare i miei genitori per aver trovato il modo di rendere la natura una casa per me e per i miei fratelli. Qualcosa dentro di me si era concretizzato in quei boschi.
Landscape Stories: Riguardo il suo lavoro "Transfigurations"... È stato pubblicato da RADIUS BOOK nel 2008. Come è iniziato il progetto? Come è iniziata la sua collaborazione con Rebecca Solnit e William Jenkins? C'è qualcosa nel titolo che ci guida mentre la sequenza si sviluppa? Può raccontarci qualcosa in più?
Michael Lundgren: Il titolo deriva da una continua ricerca per individuare la fotografia come mezzo di trasformazione, ma nel mio caso si modifica l'idea - che cosa significa trasfigurare qualcosa? C'è un riferimento spirituale nella parola, come se il cambiamento potesse essere verso qualcosa di natura più sottile. L'opera subisce una metamorfosi ricorrente di tonalità, scala e un'oscillazione tra il mondo reale razionale e qualcosa di più ipotetico e misterioso. C'è questa idea del doppio mondo: il mondo che tutti conosciamo e capiamo e poi questo mondo alternativo a cui la fotografia sembra davvero capace di alludere.
Questo libro è frutto dal mio lavoro da studente universitario. Volevo avere una serie di immagini che riposizionassero il paesaggio lontano dalla politica della devastazione umana in un territorio trascendente ed elementare. La fotografia mi ha impegnato per 7 anni e il libro è il risultato di una scelta tra centinaia e centinaia di negativi 4x5". La postfazione di William Jenkins descrive le immagini come discendenti dal modernismo il che mi onora. Rebecca Solnit ha scritto questo sincero saggio poetico che si riflette sull'opera stessa. Rebecca e io avevamo lavorato insieme a Mark Klett e Philip Fradkin ad un libro sul terremoto e sull'incendio di San Francisco del 1906 e fu colpita dal mio lavoro personale. Una cosa che posso consigliare riguardo a queste collaborazioni è di contattare le persone che ammiri. Crea connessioni e non aver paura di chiedere loro di lavorare con te a qualcosa.
Landscape Stories: "Siamo il paesaggio di tutto ciò che abbiamo visto". - Isamu Noguchi
Potrebbe descrivere la sua esperienza di fotografo in un posto che non ha mai visto prima? Quali sono le relazioni tra le sue intenzioni artistiche e il suo desiderio di scoprire (la) verità?
Michael Lundgren: Non sono a mio agio con la parola verità. Cerco di vedere un processo più ampio che sia più un flusso di pensiero che un'intenzione specifica. Vengono create nuove immagini che alterano la lettura di quelle precedenti, il che a sua volta richiede un'evoluzione del processo di ricerca. È come una spirale sovrapposta. Anche se sono alimentato da ciò che non ho mai visto, la spirale risulta piena di rimandi. Le immagini che realizzo, i luoghi che vedo, i libri che leggo - costruiscono un centro di gravità che influenza le mie intenzioni. Il mio desiderio è quello di produrre un'esperienza che confonda piuttosto che risolvere perché è il mondo stesso ad essere complesso. La struttura di ogni corpo di lavoro è in continua evoluzione e la forma finale è arrivata nel corso di anni.
Quando cammino in un luogo in cui non sono mai stato lo faccio come se fossi osservato. Succede così - la postura del mio corpo cambia. C'è una disposizione all'apertura ma anche diffidenza. Cos'altro c'è qui? Cos'altro mi sta guardando? Prestare attenzione al posto come una forma di risarcimento - una sorta di biglietto d'ingresso. C'è la speranza e il tentativo di distrarsi ma allo stesso tempo conservo queste immagini già presenti in una angolo della mia mente. Non tanto come un sogno che hai fatto la sera prima che continua a ripresentarsi per tutto il giorno.
Landscape Stories: Potrebbe dirci come i suoi progetti prendono vita? Cosa la conduce e la guida quando cerca immagini e luoghi da utilizzare successivamente nel suo lavoro?
Michael Lundgren: A volte succede così: so cosa sto cercando, ma non l'ho ancora incontrato. E poi a volte mi sembra di non avere idea di cosa sto cercando, ma lo capisco non appena lo vedo. E poi c'è anche la sensazione che sia più facile sapere e descrivere ciò che non si è. Ci sono queste immagini che ho scattato in precedenza che forse ora non ho più bisogno di realizzare. A volte scatto ancora quel tipo di immagine per sentirmi nuovamente in quel modo.
Se dovessi semplificare le cose, direi che puoi essere un contadino o un cacciatore-raccoglitore. Se devo scegliere tra i due in linea di massima io propendo più per quest'ultimo. Anche se conosco abbastanza bene la superficie del terreno, è l'inaspettato che mi incuriosisce. Penso a Richard Long che prende una pietra, la lancia in avanti, la prende di nuovo lungo la traiettoria e la lancia nuovamente. Forse trova lo stesso sassolino. Forse adesso è diverso. Porto con me una serie di minuscole stampe. Le sfoglio guardandole alla luce naturale. Voglio che in quel momento ci sia una connessione con le immagini nel corso del tempo.
Landscape Stories: "Geomancy" è una monografia del suo lavoro fotografico realizzato tra il 2016 e il 2019. Ha iniziato con l'aiuto di una borsa di studio della Guggenheim (La Guggenheim Fellowship è un premio concesso ogni anno dal 1925 dalla statunitense John Simon Guggenheim Memorial Foundation a chi "ha dimostrato capacità eccezionali nella produzione culturale o eccezionali capacità creative nelle arti"). Come si evolve il progetto dall'inizio? Come sceglie i luoghi che fotografa?
Michael Lundgren: C'è un periodo di sovrapposizione con i miei libri. Con la sequenza quasi completa vengono realizzate nuove immagini che si trovano al di fuori della struttura dell'opera. Trovo che mantengano il loro potere nel tempo e spesso diventano i semi del libro successivo. Avevo iniziato a lavorare su qualcosa di molto diverso in quel momento. Volevo creare un libro che fosse un punto di incontro tra la mia prima e seconda pubblicazione. Prendere un po' della luce e dello spazio trascendente di Transfigurations e farli scontrare con la documentale qualità archeologica di Matter (sempre RADIUS BOOK). Nel corso del tempo sono rimasto affascinato dalle complicate storie culturali delle regioni in cui lavoravo. Volevo vedere se potevo inserire quelle storie in modo che aleggiassero all'interno delle immagini in modo abbastanza ambiguo.
Landscape Stories: Questa ricerca e i processi fotografici presentano una mole impegnativa di immagini che si occupano di paesaggio e della sua esplorazione nella fotografia contemporanea. Come concettualizza questo aspetto nel suo lavoro? Cosa l'ha portata a indagare questi aspetti in modo così approfondito?
Michael Lundgren: Come cultura siamo abbastanza ignoranti sulla storia delle Americhe. Grandiose civiltà erano qui prima di noi, alcune di queste le abbiamo distrutte. Le tracce di queste culture più antiche si possono ancora trovare in segni piuttosto sottili. E prima di queste civiltà esisteva una mega fauna estinta da esseri umani, animali talmente grandi che avrebbero sicuramente stupito un elefante. E poi c'è la geologia e la vita organica e strani fenomeni ovunque. La superficie di questi territori è un Palinsesto, qualcosa su cui è stato scritto o dipinto più e più volte. La geomanzia è un tentativo di attivare questi strati di significato.
Landscape Stories: Facendo riferimento al suo ultimo libro "Geomancy"... pubblicato da Stanley / Barker nel 2019. Come è iniziata la sua collaborazione con Stanley / Barker? Potrebbe dirci qualcosa in più sulla creazione del libro? Le dispiace spiegare ai nostri lettori perché ha scelto di fare questo libro e quali obiettivi spera di raggiungere?
Michael Lundgren: Volevo creare un libro che sembrasse una divinazione, qualcosa che venisse dall'occulto, qualcosa le cui origini potrebbero persino essere sospette. La parola geomanzia significa "divinazione della terra", o più semplicemente Invocare la Terra. Se lo avessimo fatto, forse, ora ci troveremmo in una situazione molto diversa. La mia idea era che le fotografie mostrassero che la Terra stessa ha memoria. E che potrebbe essere un bene prestargli attenzione.
Nel 2014 Greg Barker ha scritto un articolo sul mio lavoro per la rivista Hotshoe. Siamo rimasti in contatto nel corso degli anni e alcuni mesi dopo aver ricevuto la borsa di studio del Guggenheim, ho inviato a Greg un link relativo al lavoro che stavo facendo. Ha chiesto chi lo stava pubblicando. Ho detto: tu? Queste relazioni richiedono anni per svilupparsi. Alcuni sviluppi attuali della mia carriera risalgono a circa 20 anni fa! Devi davvero voler fare questo mestiere. Indipendentemente dai finanziamenti o dai riconoscimenti.
Landscape Stories: Il suo lavoro è in parte in bianco e nero e in parte a colori. Come pensa al colore in relazione al lavoro in bianco e nero?
Michael Lundgren: A volte la risposta a questa domanda è semplicemente che in quel momento l'ho sentita in un modo o nell'altro. Ma in realtà questa decisione è presa con consapevolezza. Adoro il modo in cui le immagini in bianco e nero ti astraggano dal tuo presente. Se il colore riesca a farlo allo stesso modo credo dipenda dall'abilità dell'artista, ma il bianco e nero se fatto bene riesce davvero a cancellare il tempo. Costruisce una relazione misteriosa con le immagini a colori, che sono abbastanza diverse dalla maggior parte delle altre palette . Questo lavoro vive principalmente in un mondo color ciano. Forse è la sensazione che deriva dal fatto che molti di questi luoghi fossero una volta sott'acqua o che potrebbero esserlo nel futuro, per me il blu e il ciano sono sinonimo di mondi sommersi. Nella teoria del colore si dice che ci abituiamo alla temperatura del colore e che i nostri occhi si adattano gradualmente alla tonalità. Cerco di costruire il movimento del colore verso determinati luoghi di cambiamento o rottura mentre il bianco e nero aiuta a neutralizzare il viaggio e curiosamente fa sembrare alcune immagini a colori come se fossero monocromatiche.
Landscape Stories: La realtà delle immagini è diventata ambigua al giorno d'oggi, realtà e/o finzione. Come pensa che cambierà il grado di fusione tra la rappresentazione di un fatto e la sua ricostruzione/manipolazione? Come percepiremo ciò che ci sta di fronte?
Michael Lundgren: È vero che ai nostri tempi abbiamo molte ragioni per diffidare delle immagini, ma alla fine le immagini non sono sempre state una miscela di realtà e finzione? Sono interessato al modo in cui questa ambiguità può essere sfruttata. La parola immagine e immaginazione hanno la stessa radice. Non ho una risposta per l'ultima domanda, ma è vero che il mondo delle immagini può creare una matrice per come vediamo e comprendiamo nella nostra vita le cose di tutti i giorni. Meglio prestare attenzione perché possono essere pericolose.
Landscape Stories: Il paesaggio è stato un soggetto costante in tutti i periodi artistici. Che valore da al paesaggio al giorno d'oggi? L'uomo dovrebbe ancora contemplare e comprendere il paesaggio, la natura della sua esistenza, attraverso la sua rappresentazione?
Michael Lundgren: Certamente. C'è stato un periodo non molto tempo fa in cui il paesaggio era in qualche modo considerato una specie di bastardo nel campo dell'arte, ma penso che ora le cose stiano cambiando. Ricordo che Henri Cartier-Bresson diceva: "Il mondo sta andando in pezzi e persone come Adams e Weston fotografano le rocce!". Per un certo periodo ho cercato di ribaltare questa posizione. Il poeta Gary Snyder ha scritto: "Nessuno ama le rocce, ma noi siamo qui". Veniamo dalla natura, dalle pieghe della Terra ed è lì che andremo quando moriremo. Forse contemplare la superficie del nostro pianeta ci avvicinerà ad esso, ci rallenterà e ci radicherà.
Landscape Stories: Quali libri sente vicino o influenti in relazione al suo "Geomancy"?
Michael Lundgren: L'elenco degli artisti sarebbe piuttosto lungo ma citerò Geert Goiris, Taiyo Onorato e Nico Krebs, Christian Widmer, Mike Williams, Aaron Rothman, Mark Klett, Jungjin Lee, John Gossage tra i tanti. Ricordo Emmet Gowin che diceva "Sono influenzato da ciò che è estraneo al campo". — che significa letteratura, poesia, musica, esperienza, conversazione. Questo vale anche per me. Un libro che ha plasmato i miei pensieri e le mie sensazioni sul paesaggio costruito e sulla mitologia dell'espansione occidentale è stato Beyond Geography di Frederick Turner. E ovviamente sullo sfondo c'è sempre Carlos Castaneda.
Landscape Stories: Per finire, a cosa sta lavorando ora? In quali progetti è coinvolto? Se desidera rivelarli ovviamente.
Michael Lundgren: Sto lavorando ad un progetto che assomiglia molto a un'estensione di Geomancy. Non ho finito con quei temi e quella visione, ma è anche molto eccitante ora sentire una corrente di nuove idee. Ho lavorato di più sull'acqua, sia sui fiumi che sull'oceano e non vedo l'ora di vedere dove mi porta. Una parte di me vuole dimenticare l'idea del corpus di lavoro e fare solo singole immagini, ma sono certo che tra un anno mi ritroverò tra le mani gli elementi per un nuovo libro.
Forse il mio obiettivo a lungo termine è perdere tutto lo stile e l'attaccamento e a quel punto le immagini potrebbero sentire che sono sempre esistite, che erano già lì.
Intervista a cura di Gianpaolo Arena
Traduzione a cura di Christian Tognela